Cosa si intende, con genere? Una costruzione collettiva, che si è soffermata, anzi fissata in maniera rigida sulle differenze fisiologiche tra uomo e donna, sulla biologia e sulle necessità della specie. Regole, ruoli, dimostrazioni scientifiche che dopo qualche decennio – o secolo – dimostrano la loro parzialità. Per secoli filosofia, religione e scienza hanno portato acqua al mulino dei generi:
“Un vero uomo … fa…”; “Una vera donna è…”. Il mito del “genere”, potente e antico, onnipervasivo e dominante, riguarda uomini e donne.
Vorrei assieme a voi esaminarlo, vederne i limiti e le trappole di cui è costellato. Queste “trappole” sono profondamente incise dentro di noi come convinzioni dominanti, pregiudizi o dubbi; questi miti ci modellano e danno forma anche al mondo in cui viviamo: la nostra società è plasmata su di essi. Confrontarsi su questo tema diventa un viaggio psicologico e spirituale di grande potenzialità, di apertura al nuovo e allo sconosciuto.
La cosa più evidente è che il mito del genere divide: divide gli uomini dalle donne, attraverso stereotipi che hanno certamente finito per modellare, nelle migliaia di anni di dominanza, anche la nostra psiche e il suo substrato fisico, il cervello. Ogni ricerca che si rifaccia a questi temi, come i movimenti “degli uomini” (ad esempio quelli legati al “maschio selvatico”) e quelli delle donne (ad esempio il mito della dea) ci fanno comunque restare intrappolati in questa divisione che non fa altro che perpetuare danni e dolore.
Se guardi a questo fatto dal punto di vista dell’anima, puoi coglierne la ferita, lo spreco di talenti, capacità, benessere, salute, felicità. In questo schema, l’unica possibilità è che una parte dell’umanità domini non solo sull’altra (percepita e quindi diventata inferiore) ma anche su quegli elementi del proprio gruppo, maschile, che non rispondono ai “requisiti” dell’elenco. E anche le donne, partecipi degli stessi pregiudizi, sono state pronte per secoli a giudicare quelle tra loro che uscivano dagli schemi del cosiddetto femminile.
Questa situazione ha cominciato a incrinarsi con il femminismo, ma non in modo profondo e trasformativo a livello collettivo; attualmente il femminismo ha puntato sulla ricerca delle differenze. Non più o non soltanto uguaglianza, ma l’orgoglio, la bellezza della propria diversità. La donna ha delle specificità sue, sostiene questo tipo di femminismo, è “per natura” più intuitiva, sensibile, empatica, “multitasking” per via di un cervello radiante anziché focalizzato…oddio! Le stesse cose che diceva il patriarcato, trasformate ora in superiorità o comunque specialità. Il futuro è della donna, legata alla Dea. Dio è Madre.
Aiuto. Che trappola. La psiche (e quindi ciascuno di noi) resta ancora frammentata.
Decidere di uscire dal gioco del “genere” richiede la consapevole alleanza di uomini e donne: non è possibile fare questo viaggio “contro” l’altro genere. E’ vero che quando ci si incammina su questo percorso, uomini e donne partono da due punti di partenza diversi: per secoli l’uomo è stato ipernutrito dell’orgoglio di essere, appunto, tale; mentre le donne, in quanto tali, hanno sperimentato per secoli una condizione di inferiorità e di scarsa autostima. Ecco che nascono, per una reazione di orgoglio, movimenti in cui le donne immaginano una Dea al centro del Creato (parliamo della Dea Madre! Questo è molto meglio che parlare di un Dio Padre!). E così ci si incastra di nuovo in un gioco di pretese superiorità e differenze legate al… “genere di Dio”.
Vi invito a immaginare e iniziare a costruire un mondo in cui un essere umano sia guardato per quello che innanzitutto è: una creatura umana appunto, dotata certamente di una biologia di un certo tipo, ma anche di una psiche, di un’anima che può accordarsi più o meno armoniosamente con la sua fisiologia. Non possiamo farlo se non insieme, uomini e donne, di qualsiasi inclinazione sessuale, che appartiene alla sfera del privato, che riguarda due esseri umani consenzienti, che avviene nel rispetto reciproco.
Ci sono giovani uomini molto sensibili, con una natura introversa, timida e delicata. Come vivono questa loro verità? Purtroppo, spesso come qualcosa di cui vergognarsi. Ecco che si iscrivono a corsi di karate, wrestling o altro. Una mascolinità sensibile, arrendevole e sensuale può essere bellissima! Per molti uomini è qui che giace il succo della loro esperienza di vita. Allo stesso modo, vi sono donne forti, aggressive e competitive, che soffrono perché non si sentono femminili, perché non sanno cucinare o non desiderano avere figli! E invece stanno portando una femminilità forte, potente… Pensate a quanto danno ha fatto e fa l’etichetta “donna fallica”!
Le regole del genere fanno sì che agli uomini e alle donne venga attribuita solo la metà delle potenziali caratteristiche umane.
Ognuno di noi è unico, con la sua storia, i suoi doni e le sue ferite. Ognuno di noi vuole amare ed essere amato. E l’amore non conosce i generi; conosce l’ampiezza del suo sentire, conosce l’anima, i moti del cuore, il sentimento e la passione, conosce la persona – quella persona. Il compito di ciascuno è di diventare sé stesso, al di là dei giochi di ruolo che sono una sovrastruttura sociale e di potere. Ecco dove sta il mistero.
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