Il Cammino di Santiago comincia per me da Burgos, una deliziosa cittadina nel nord della Spagna, in un giorno d’estate. Sono le prime ore del mattino e io sono pronta, zaino in spalla, scarpe giuste ai piedi, occhiali e cappellino a portata di mano. Pochi passi fuori dall’albergo e ricevo – non senza commozione – il mio primo”Buen Camino!”, l’augurio che viene rivolto ai pellegrini e che di qui alla fine del mio percorso mi sentirò augurare e augurerò più e più volte. Mi dirigo con sicurezza verso la freccina gialla che, previdentemente, ho individuato la sera prima. Le frecce gialle sono tracciate ovunque, su muri, lampioni, alberi, e stanno ad indicare al pellegrino la strada per arrivare a Santiago de Compostela.
La trovo e da lì’ proseguo, tenuta per mano dal susseguirsi dei segnali.
Da subito mi rendo così conto di due Aspetti contrapposti e pur tuttavia entrambi necessari, l’essere vigile (per scovare le frecce!) ma anche l’affidarsi al percorso.
Succede a volte che lo sguardo vaghi inquieto .. nessuna freccia all’orizzonte, e allora continuo, passo dopo passo, nella fiducia che prima o poi la incontrerò. E infatti eccola, piccola e silenziosa amica, occhieggia da un lampione e mi indica la via.
Chilometro dopo chilometro la mente vaga piacevolmente e riposa, contenuta e al tempo stesso espansa dal passo, dal respiro, dal silenzio.
Mi viene da pensare che il Cammino è una metafora della vita, ognuno la percorre a modo suo, con il proprio mix di Aspetti Primari e Rinnegati. Alla prima sosta in un locale che definire bar sarebbe un po’ troppo mi tuffo nel mio caffè, appoggio ordinatamente il mio zaino sulla sedia accanto (cosa che continuerò a fare fino alla fine, con gran divertimento dei miei compagni di percorso, che invece lo sbattono a terra senza troppi riguardi) e mi guardo intorno. Molti degli altri pellegrini presenti si levano con disinvoltura scarpe e calze e io mi ritrovo a pensare “ma insomma, .. un po’ di decoro!” Non so ancora che di lì a pochi giorni sarò la prima a togliermi scarpe e calze non appena possibile. Gli Aspetti Primari della mia personalità mi vogliono ordinata e con un minimo (anche un po’ di più J) di riguardo alla forma in ogni situazione, ma sono disponibili a qualche piccola concessione, dato lo scenario quanto meno .. inconsueto.
I primi giorni dormo in pensione, non me la sento ancora di affrontare la realtà dell’ostello che un po’ mi spaventa. Sono “per natura” piuttosto solitaria, per me la privacy è importante e so per certo che nell’ostello sarà impossibile averla e tuttavia .. sento anche il desiderio di sperimentare il senso di aggregazione, l’andare a dormire presto e tutti insieme, lo svegliarsi più o meno alla stessa ora, con la stessa stanchezza nelle gambe, lo zaino da preparare, la tappa da raggiungere .. non voglio essere esclusa da tutto questo. E così, non senza un po’ di trepidazione, arriva la mia prima notte in ostello. L’Universo è gentile e la notte trascorre quieta, senza troppi rumori da sopportare. Scopro che mi piace far parte del gruppo di pellegrini che, insieme a me, condivide dormitorio e spazi comuni. Ripeto l’esperienza più volte e va sempre abbastanza bene, fino a riconoscere che ho bisogno di altro, il mio bisogno di privacy viene a battere alla mia porta e io gli apro, contenta tuttavia di essermi concessa la possibilità di sperimentare anche qualcosa di diverso.
E così passo dopo passo, tappa dopo tappa, il percorso si snoda e comprendo sempre più che nella frase “il percorso è la meta” c’è una grande verità, sia nella vita di tutti i giorni, sia nel cammino di crescita personale, sia nel Cammino di Santiago.
I giorni si susseguono, gli scenari cambiano, in me cresce ogni giorno il rispetto per il modo di ognuno (e di conseguenza il mio!) di affrontare il proprio Cammino. I miei amici di percorso mi prendono dolcemente in giro per la programmazione rigorosa delle tappe, qualcuno fotografa addirittura le pagine del quaderno che le elencano! Anch’io mi prendo un po’ in giro e al tempo stesso mi apprezzo e guardo con simpatia ai miei compagni che sono forse un po’ meno programmati di me ma che comunque arrivano e allora è bello ritrovarsi la sera, quando le nostre tappe coincidono, bere una birra, raccontarsi le piccole grandi avventure della giornata o lamentarsi almeno un po’ per vesciche, tendiniti e quant’altro. Poi arriva il giorno in cui la stanchezza mi taglia le gambe, per la prima volta non rispetto il “chilometraggio” quotidiano. Il corpo dice un Alt forte e chiaro e io .. lo ascolto.. Mi arrendo a lui, mi butto nella prima pensione che trovo e dormo due ore di fila a metà pomeriggio, cosa per me davvero inusuale. Il giorno dopo riorganizzo le tappe e sento che è ok e che non sono presa d’assalto dal Critico o dal Performer interiore. Che meraviglia!
Così arrivo all’ultima tappa, quella prima di Santiago. Sono elettrizzata, anche un po’ “spiritata” .. mi alzo molto presto, quel mattino. Voglio arrivare a Santiago in tempo per la messa del pellegrino di mezzogiorno. Normalmente la messa non è per me una consuetudine, trovo che la spiritualità ognuno la trovi e la esprima a modo suo e per me non sempre coincide con i luoghi tradizionalmente destinati al culto. Tuttavia, nel Cammino mi scopro ad apprezzare momenti come la benedizione del pellegrino o momenti di raccoglimento perché assumono il significato e la valenza del rito. Mi confronto su questo con i miei compagni di tappa e scopro che anche per molti di loro è così.
Quell’ultimo giorno, dunque, mi alzo prestissimo. La prima mezz’ora cammino nel bosco, alla sola luce della torcia perché è ancora buio. Poi via via fa luce, mi sembra di avere le ali ai piedi ed è una bellissima sensazione, mi capita di correre poi mi dico che mi devo dare una calmata J Ed ecco profilarsi Santiago. Arrivare in una città a piedi è un’esperienza .. unica. Il centro non arriva mai!
Cammino veloce, incontro molti altri pellegrini e si capisce subito chi è “in arrivo” e chi invece è lì da un po’: i primi sono spiritati come me, gli altri ci incitano, a gesti o a parole.
E infine eccola, la cattedrale. E’ veramente stupenda, imponente. Sono le undici e mezza (mezz’ora di anticipo!) sono così trafelata che entro da un ingresso laterale e non dall’entrata principale.
La cattedrale è già affollatissima. Mi infilo in un banco, appoggio a terra lo zaino. Ce l’ho fatta! 500 km in in 20 giorni. Per molti forse non proprio un’impresa, ma per me lo è. Sono grata, emozionata, commossa. Alla mente e al cuore si affacciano uno dopo l’altro alcuni dei momenti più significativi di quei giorni, quando sono stata vicino a un compagno in difficoltà, quando a mia volta sono stata aiutata e sostenuta, quando ho sentito il bisogno di fermarmi, volgere il viso al sole e urlare a squarciagola il mio Grazie alla vita, al creato.
Mi guardo intorno e incontro gli occhi di un compagno di tappa, arrivato il giorno prima. Ci abbracciamo e ci congratuliamo lì, in mezzo alla chiesa. “Congratulations, you did it!”
Sì, ce l’ho fatta.
Buen camino!
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