In che modo “restare nel processo”?
di Franca Errani
Negli ultimi anni, il Voice Dialogue si è diffuso in moltissimi paesi e in molti diversi ambiti. Questo processo sta continuando, e ora che possiamo voltarci indietro, almeno agli ultimi dieci-quindici anni, possiamo forse fare insieme un primo bilancio riguardo ai benefici e anche ai limiti che questa diffusione ha portato.
Voglio innanzitutto ricordare, soprattutto a chi ha iniziato a formarsi negli ultimi anni – in Italia ma anche negli altri paesi – che lo slancio del Voice Dialogue è stato sempre guidato dalla visione di Hal Stone: ovvero, che tale lavoro non fosse certificabile. Gli Stone non hanno mai certificato la preparazione; non è mai esistito, nel loro modo di vedere, un “facilitatore (counselor, coach, ecc…) di Voice Dialogue” accreditato. Se andiamo alle origini, agli anni ’70, possiamo riconoscere in questo slancio di libertà anche il clima di un’epoca; inoltre, la storia stessa degli Stone, in particolare di Hal, con la sua scelta di lasciare tutte le sue posizioni accademiche e i ruoli istituzionali, testimonia la volontà precisa di sperimentare la libertà creativa e lo slancio gratuito dell’esplorazione interiore senza altro fine che sé stessa. Per Hal, il senso del Voice Dialogue è quello di un’avventura molto profonda dello spirito: nato all’interno della sua relazione di coppia con Sidra, nella visione di una reciproca esplorazione fondata sull’amore e sul rispetto, questo Metodo, legato allo sviluppo e al radicamento di quello che poi è stato chiamato il “Processo dell’Ego Consapevole” (o dell’Io cosciente) non ha altro scopo che sé stesso: è una via, un percorso psico-spirituale che può certamente essere messo al servizio di tecniche evolute, di momenti formativi, di applicazioni anche molto pratiche ed efficaci: ma questi sono, si potrebbe dire, piacevoli “effetti collaterali” di una scelta molto più profonda, personale e, per certi versi, inesprimibile.
Hal e Sidra hanno sempre voluto che chi andava da loro, per sperimentare il Voice Dialogue e il Processo dell’Ego consapevole, lo facesse con questo spirito di “gratuità”, di piacere, di divertimento anche (Hal ha sempre sostenuto che “se non ti diverti, non stai facendo Voice Dialogue”. Che naturalmente non vuole dire che non vi siano momenti difficili, dolorosi e sfidanti: ma la qualità di “divertimento” cui Hal si riferisce è … beh, è da provare). Tutto questo, nella visione di Hal, è molto difficilmente combinabile con la presenza di diplomi, certificazioni e quant’altro. E’ come avere due obiettivi: quale finirà per essere dominante? O anche, detto in termini di sé: quando debbo aderire a regole di struttura, starò quasi automaticamente attivando i sé relativi a questo mondo della regola: si tratta in genere di sé mentali, di controllo, che rischiano di allontanare il processo della persona dal contatto anche con le parti libere e “gratuite” che tanto amano la fluidità del processo. L’io consapevole può imparare a stare tra queste due polarità? Abbracciare il bisogno di struttura e quello della libertà?
Questa sfida è diventata sempre più presente nel tempo, perché in quasi ogni Paese, certamente a livello europeo, nel corso degli anni le richieste di chi partecipava alle formazioni di Voice Dialogue andavano anche nella direzione di aspetti professionali che potessero essere riconosciuti dalle varie Associazioni di Categoria, Albi, Registri ecc. Sono cambiate le esigenze di mercato, quelle professionali, quelle legali. Sono cambiate anche le disponibilità economiche: se, come professionista, debbo ottemperare a qualificazioni certificate per restare accreditato rispetto alla mia attività, probabilmente sacrificherò, anche se con dispiacere, eventuali altri corsi che amo ma che non mi offrono possibilità di accreditamento. Questo processo si presta a molte deformazioni: quel corso mi serve davvero o vado a farlo solo perché è accreditato? Di quel convegno, mi interessano gli argomenti o i crediti? “Chi”, dentro di me, mi porta a fare un colloquio individuale o una supervisione?
Di fatto, nel tempo quasi tutti gli Istituti che insegnano il Voice Dialogue, nella sua forma “pura” o integrata ad altri approcci, hanno scelto di accreditare le loro formazioni. A suo tempo, anche io fui sfidata da questo tema, rispetto alla proposta che mi fu fatta, di trasformare la mia Formazione in Scuola di Counseling. Mi confrontai a lungo con gli Stone che furono molto disponibili: comprendevano il cambiamento dei tempi e delle esigenze, e sostenevano questi progetti, purché fosse chiaro che quelle che venivano certificate erano le “abilità” – di counseling, o di coaching, o … – che attraverso il metodo la persona aveva appreso, e NON il processo dell’ego consapevole.
Ma che cosa è, questo processo? Come si fa a percepirne la presenza in noi stessi? Come evolve? Qui inizia la difficoltà. Infatti questo benedetto “processo dell’io cosciente” (altra espressione con cui viene definito) è qualcosa di sfuggente, indefinibile, che a volte si coglie a volte si perde, che si dipana lungo vie strane, con andate e ritorni, ampliamenti e stasi… è qualcosa che va sperimentato e allora, se lo hai provato e ne afferri il valore e il senso, sai che vuoi continuare su questo Cammino, indipendentemente da crediti, certificazioni e quant’altro. Però lo devi aver sperimentato… Altrimenti, come dice la mia amica J’aime One Pangaia, è come dissertare a lungo, in tutti i modi, su come si cuoce il riso, ma non averlo mai assaggiato. Puoi conoscere tutte le varietà, i metodi di cottura, gli abbinamenti, ma non “conoscerai” con il tuo palato la sua fragranza, con il tuo naso i suoi aromi, con i tuoi occhi le tante tonalità di colore.
Durante il percorso della Scuola, questo tema viene trattato più volte; gli allievi “mangiano il riso” e imparano ad apprezzarne consistenza, sapori e varietà. Alla fine del Percorso Formativo, ciascuno è confrontato con l’uso che vorrà fare degli strumenti acquisiti: per molti, per la maggior parte, si tratta di abilità che trasferiscono nella loro stessa professionalità: dal medico all’infermiere, dal bancario al manager, dall’artista all’insegnante, dall’assistente sociale al libero professionista, non hanno intenzione di cambiare lavoro: amano farlo meglio, per sé stessi e per gli altri. Scoprono risorse che non utilizzavano e che cambiano la qualità della loro attività, su vari livelli.
Poi vi sono coloro che decidono di iscriversi al Registro per accreditarsi come Counselor/Coach. La legge del gennaio 2013 ha riconosciuto questa professione e questo è un risultato importante e utile per avere una maggiore visibilità e tutela, sia del professionista che dei suoi futuri clienti. Al tempo stesso, i sé della struttura possono far “perdere di vista” il processo dell’io cosciente, così come è definito e sperimentato nel Voice Dialogue: ovvero, possono spingere la persona verso la polarità struttura – calcolo dei crediti, ragioniere, perfezionista, rigore – facendogli perdere il contatto con la polarità creativa – piacere di fare il proprio lavoro, “gratuità” del processo, divertimento, stupore, meraviglia, ricerca…
In termini di sé interiori, quello che potrebbe determinarsi è una dinamica di vincolo con la struttura accreditante: la parte figlia del Counselor (figlio adeguato, obbediente, timoroso rispetto alla novità della futura attività o dei rischi potenziali ad essa connessi) si lega alla parte genitore della Struttura (padre normativo, controllante, rassicurante – o impaurente – ma in ogni caso che “sa”) e questo depotenzia il professionista, se non si rende conto di tale possibile modalità. Non è facile coglierla, perché dall’altro ramo della dinamica vi è l’aspetto di potere del professionista: a sua volta un genitore responsabile e affidabile rispetto alla parte figlia della Struttura (vulnerabile perché dipende dai suoi iscritti per la sua stessa esistenza). Naturalmente è molto raro che una qualsiasi Istituzione sia in contatto con la propria vulnerabilità; così come anche per un professionista è più facile percepire i propri aspetti di potere che non quelli vulnerabili, a meno che non si sia allenato a sentirli, accoglierli e proteggerli in modi diversi.
Le dinamiche di vincolo sono uno strumento affascinante e potente con cui esaminare le relazioni, sia tra individui che tra istituzioni; nella Scuola, trattiamo questi temi, anche rispetto alla relazione insegnante – allievo, professionista – cliente, guru – discepolo… Sono tutte dinamiche che esistono nella vita di tutti i giorni, e avere uno strumento efficace per “dipanarle” è molto utile. E’ anzi uno dei modi con cui si può avviare – o riavviare – il processo dell’Ego Consapevole, là dove si riconosce di essere rimasti in qualche modo “incastrati” in questi affascinanti “giochi di ruoli”: perché di questo, alla fin fine, si tratta: ogni nostra interazione, che sia con altre persone, o con Istituzioni, o persino con oggetti, può dirci molto di noi stessi, di dove siamo, di quali parti abbiamo bisogno di sostenere e sviluppare, di quali possono aver preso troppo spazio dentro di noi, finendo per dominare la nostra percezione della realtà.
La mia proposta quindi vuole essere creativa: poiché la Scuola e le relative Istituzioni esistono, usiamo, ciascuno di noi, le relative dinamiche per imparare qualcosa di noi stessi, per esplorare le polarità che si sono eventualmente attivate, per riconoscere quale possibile vulnerabilità si è accesa… insomma, per fare i soliti, noti ma sempre nuovi passi della conoscenza di noi stessi e del mondo.
Copyright Franca Errani, 2014.
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