Questa scoperta è stata commovente per me e voglio condividerla con voi.
Camminavamo quasi di corsa, Giovanni e io, dietro ai nostri amici francesi, per una calle veneziana… eravamo in ritardo per l’appuntamento fissato da Pierre e Geneviève… noi due eravamo arrivati col treno in ritardo, giusto il tempo di disfare le valigie e poi via, con passo veloce poco adatto a Venezia, ma vabbè, ci saremmo riposati poi. Così, un poco affannati, passiamo davanti a una vetrina di maschere e “la” vedo. So che non possiamo fermarci ma so anche che “quella” è la mascherina che voglio portarmi a casa. So anche, da subito, che la troverò solo lì.
Nei giorni successivi facciamo diverse gite, visitiamo musei, percorriamo le calli, insomma passiamo ore bellissime tra chiacchiere con gli amici, con cui condividiamo il mondo del Dialogo, e la scoperta radiosa che Venezia ti propina ad ogni angolo.
Vediamo anche una marea di negozi di maschere ma ho la conferma: la “mia” non c’è. Ci sono maschere stupende, di ogni tipo e colore, maschere raffinatissime, eleganti, giocose, misteriose, classiche. Queste bellissime maschere mi affascinano, ma non mi scuotono l’anima…
Eccone alcune:
Solo l’ultima mattina, dopo che Pierre e Geneviève sono partiti, abbiamo la possibilità di tornare a
S. Croce, dopo aver portato le valige al deposito bagagli. “So che non partirai senza quella maschera” ammicca Giovanni, e sento il suo sostegno.
Ritroviamo la calle.
La mascherina si chiama “moretta” (la versione originale è nera) o anche “servetta muta”, e cadde in disuso già nel 1760, ci spiega il proprietario.
Ed è qui che nasce la bellezza dell’incontro, il piacere della scoperta inattesa.
Questo signore, di origine curda, si è rifugiato a Venezia da circa tre decenni; parla un ottimo italiano e ha una cultura vasta e un’esperienza di vita particolare.
La mascheretta è un suo recupero; come vedete è senza bocca, molto piccola (copriva il volto appena a nasconderlo e veniva a volte usata insieme a un velo). Veniva tenuta sul volto usando un bottone interno, o un piccolo sostegno, che si stringeva tra i denti: ecco perché “muta”.
Eccola qua di fianco. Chi di voi ha partecipato ai corsi di BMD, usato la maschera bianca e creato la sua maschera colorata, sa la potenza di questo oggetto.
Ma, io mi dico, chi poteva ritrovare un tale oggetto, se non una persona che appartiene a un popolo “muto”, che ha vissuto un dramma “muto”?
Questa maschera è potente e fragilissima, parla con il suo silenzio, con i suoi occhi spalancati, con i suoi non-lineamenti… ci parla di chi non può parlare.
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