La bambina che sale sugli alberi lo fa rapidamente, con il respiro veloce e le mani sicure. E’ un suo talento. Arriva al suo ramo e si accoccola e guarda di tra le fronde il paesaggio, i prati e le persone e i tetti e poi le nuvole e il cielo. Là tra i rami dell’albero il suo respiro si placa e un leggero sorriso la illumina.
A volte i bambini che salgono sugli alberi…
non hanno alberi a disposizione, forse non li hanno neppure mai visti, gli alberi, ma cercano quella “cosa” lì, quel riparo e respiro e silenzio e allora vanno su una roccia, uno scoglio, un muretto, un argine su cui camminano fino a quel punto lontano dove tra le canne si nascondono le anitre e ogni tanto una di esse si alza in volo con un fruscio selvatico. Allora il bambino che si arrampica sugli alberi alza lo sguardo e per un tempo più o meno lungo vola insieme all’anitra, con il cuore sospeso nel silenzio del vento.
La bambina che sale sull’albero sa bene che il mondo “giù” esiste e che occorre affrontarlo; ma ogni tanto deve ritirarsi e stare con se stessa. A volte gli altri la considerano un poco strana; un poco scontrosa o troppo timida; a volte la giudicano altezzosa.
La bambina che sale sull’albero non si cura di questi giudizi; sa bene che senza quel luogo, quel silenzio, quella solitudine lei non potrebbe, letteralmente, vivere. E’ lì che si ritrova. Forse non usa queste parole, perché la bambina che sale sull’albero ha sette-otto anni, o forse è un’adolescente spigolosa; forse direbbe semplicemente “io ci devo andare, sull’albero” – o sullo scoglio in fondo al molo, sul poggiolo, alla curva dell’argine.
Il bambino che sale sull’albero è il custode di qualcosa di importante e questo, confusamente, lo sa. La famiglia, il mondo, la scuola, gli amici, gli chiedono altro.
La bambina che sale sull’albero è molto sensibile, empatica, attenta; gli altri la svuotano. Oh non lo fanno mica apposta! Ma questo accade, semplicemente.
E’ solo là in cima che il bambino che sale sull’albero “sa” chi è. Confusamente ma fermamente. La stessa mano che afferra il ramo con sicurezza, che ne valuta con competenza la tenuta e l’elasticità, è quella che tiene racchiusa il seme dell’identità. Quella vera, quella profonda. Che “laggiù”, in mezzo agli altri – pur amati – si stempera, si slabbra, si disperde.
Ma la bambina che sale sull’albero non lo permetterà mai. Terrà stretta nella sua mano resinosa il suo sogno, la sua visione. A volte ci vorranno anni prima che la visione si possa realizzare; ci saranno percorsi zigzaganti, deviazioni, andate e ritorni, prove.
Perché questo è il paradosso…
i bambini che salgono sugli alberi – o si siedono su una roccia ad ascoltare il vento – sono così sensibili che da fuori sembrano modellabili, pronti a lasciarsi trasportare verso gli altri; ma poi si raddrizzano, dicono strani no, fanno di testa loro. Su alcune cose sono di cera, su altre – quelle che davvero contano, dalla cima dell’albero – sono di acciaio inox. E’ il loro talento che li chiama.
E il loro talento fa parte dei “loro” valori. Se su tante cose possono sorvolare, quando si arriva al nucleo centrale “talento e valori”, ecco che il bambino che sale sull’albero si drizza come un cedro del Libano, si pianta a terra come una quercia annosa e dice “no”. In quel momento è ancora in mezzo alle “sue” fronde, anche se magari sono decenni che non sale più su un albero reale.
Non pensare di segare l’albero…
Non ne verrai a capo. Che se caso mai ti riuscisse, sarebbe davvero un delitto: la persona che ti ritroveresti accanto, priva del suo bambino che sale sugli alberi, sarebbe solo un involucro vuoto.
Se questo articolo ti è piaciuto, grazi di condividerlo! E … grazie del tuo commento.
Franca Errani
Foto: Vincent Delegge, da Unsplash.com
È un racconto meraviglioso… io forse salivo sulle nuvole… ero via… ma mi sarebbe piaciuto tanto poter salire su un albero… avrei voluto costruirci una capanna e portarci tutte le mie bambole… Grazie Franca!
Grazie Cinzia!
Molto vero. Vedo me stessa anche se non sono più una bambina.
Grazie Cecilia.
Cara Franca,
grazie di avere sollecitato i ricordi. Ho avuto la fortuna di avere dei giardini e boschi in cui giocare e tanti alberi reali che mi hanno accolta, protetta e dato la gioia di sentirmi lassù. Il tuo articolo mi ha fatto ricordare il pepe che aveva due rami paralleli per me e mia cugina erano due cavalli sui quali cavalcare. Un carrubo che aveva quasi una piattaforma in cui potevamo stare in tre. Un fico sul quale ho studiato tanta storia. Più castani nei quali e sui quali ho fatto casette con gli amici.
Ho avuto anche un armadio sul quale mi arrampicavo, mi isolavo e come i gatti mi sentivo l'unica a poter avere quel punto di vista.
Un abbraccio
grazie…….mi sono ricordata di me piccola …….e a volte ci devo tornare sugli alberi .o spra una roccia….ne ho bisogno per ritrovarmi……per sopravvivere
Salivo spesso sull'albero curvo che avevo in giardino o anche andavo spesso in fondo al molo dove non c'era nessuno o solo un silenzioso pescatore intento alla sua attività.
Si stava così bene nel silenzio e nella solitudine di quei posti…. Ora posso farlo solo rarissime volte…