L’empatia non è sempre una risorsa. Vi sono aspetti oscuri nel suo uso non cosciente che è bene imparare a conoscere in sé e negli altri.
Alcuni decenni fa ci fu una importante rivoluzione nel campo delle scienze sociali: l’introduzione del concetto di “Intelligenza Emotiva” (QE). I primi a parlarne furono, nel 1990, Peter Salovey e John D. Meyer, in un articolo intitolato, appunto, “Emotional Intelligence”. Ma il nome che più è legato allo sviluppo di questo tema è quello di Daniel Goleman, con i suoi numerosi libri e studi, sia in relazione ad essa come competenza personale sia come competenza sociale e relazionale.
L’empatia
L’empatia fa parte di tale Intelligenza. La parola è forgiata dal greco, én (dentro) e pathos (sentimento, passione): in pratica “sentire da dentro” quello che l’altra persona prova. L’Empatia dunque è un “movimento da dentro” verso il mondo delle passioni e dei sentimenti dell’altro, fino a un coinvolgimento talmente profondo da diventare immedesimazione. Una qualità dunque fondamentale nelle relazioni umane, tanto che oggi il suo insegnamento viene previsto anche nella scuola elementare.
E certamente, nella giusta “quantità”, l’empatia è un vero e proprio dono fatto di sensibilità, attenzione, partecipazione, contatto immediato e diretto con lo stato emotivo dell’altro – dalla gioia alla sofferenza: insomma, sapersi mettere nei panni dell’altro, saper percepire il mondo attraverso la sua prospettiva, saper vedere i suoi problemi con i nostri occhi.
Questi sono i doni. Tuttavia, nel corso degli anni, quello che ho notato sono anche gli eccessi dell’uso di questa nostra risorsa – che è naturale ma anche indotta dalla generale acclamazione del suo valore – probabilmente legata anche al cinismo generale che accompagna altre realtà che incidono sulla nostra vita, come per esempio la finanza.
Che cosa sta accadendo? E’ sempre e comunque un valore così esemplare, l’empatia? O a volte fa danni?
Difetto ed eccesso di empatia: la zona oscura
Per comprendere meglio come funziona il meccanismo di ogni nostra identificazione, voglio parlare del “difetto” (inteso come mancanza) o dell’eccesso di questa qualità.
Il difetto – mancanza di empatia- si traduce in distacco, eccessiva razionalità, fino al cinismo. E possiamo essere d’accordo che non è una dimensione sana.
Ma l’eccesso? Abbiamo indagato l’eccesso? Direi che attualmente non si riflette tanto sul suo eccesso; infatti la sua scoperta relativamente recente fa considerare l’empatia come una sorta di “regina” tra le nostre capacità relazionali e quindi i problemi – che tuttavia sono sotto i nostri occhi – tendiamo a non vederli.
La parte oscura dell’empatia legata al suo eccesso è che l’identificazione con l’altra è immediata e priva di filtri. Ovviamente per ciascuno di noi è più facile identificarci con un certo tipo di persone o problemi, magari perché li abbiamo vissuti anche noi nel passato. Se conosco il dolore della perdita di una persona cara, mi sarà facile empatizzare con chi vive questa esperienza, e così via.
Ora, l’empatia di tal tipo ci fa diventare miopi ad altre realtà; ci fa muovere in modo unidirezionale e non ci fa pensare alle conseguenze a lungo termine di quello che mettiamo in modo.
Diventa cioè un filtro alla realtà che non ci aiuta a illuminarla a 360 gradi, ma che focalizza l’attenzione, l’energia, il bisogno di un risultato solo su un piccolo spicchio di essa. Essendo così legata al sentire emozionale, questo tipo di empatia esclude in automatico l’intelletto logico, che viene considerato freddo, impassibile, duro.
In realtà è proprio l’intelletto logico che può creare una prospettiva a più lungo termine, immaginando le conseguenze non solo immediate ma nel futuro delle nostre azioni di oggi e operando un sano distacco obiettivo in grado di fornire altri strumenti di valutazione.
Per esempio, oggi spesso i genitori empatizzano con i figli in modo assoluto e totalizzante; li difendono davanti agli insegnanti anche quando i fatti – osservati attraverso l’intelletto logico o semplicemente il sano buon senso – mostrano gli errori e le mancanze dei ragazzi. Questa empatia “a tutto campo” è devastante, protegge i figli anche quando avrebbero bisogno di un altro tipo di intervento, non aiuta a costruire confini sani e procedimenti logici davanti alle proprie azioni e alle loro conseguenze. Senza arrivare a danni estremi, queste situazioni si vivono anche nel quotidiano scambio delle interazioni.
Un esempio
Rosa deve uscire per una commissione e chiede al marito Alberto, rientrato da poco, di controllare che i due figli facciano i compiti. Alberto lo promette. I ragazzini sono felici di avere il padre presente e vogliono giocare con lui. Gli fanno le moine, gli dicono quanto gli manca quando rientra tardi e così via. Alberto entra facilmente nel sentito dei figli, che gli ricorda anche il suo da bambino, quando il padre gli sembrava una figura inaccessibile. Dunque allenta il controllo, i compiti sono lasciati da parte, arriva sera, Rosa rientra più tardi del previsto, i figli sono stanchi dal tanto giocare e non hanno più alcuna energia per fare i compiti.
Rosa si sente tradita! Alberto aveva promesso. Come al solito, non ci si può fidare di lui… Anche Alberto si sente a disagio, ora, perché ricorda la promessa e vede il viso stanco e deluso della moglie: non è stato all’altezza della situazione. I figli si sentono un poco colpevoli perché il giorno dopo hanno delle interrogazioni e non si sono preparati. La soluzione è di fare una giustificazione ai ragazzini, per il giorno dopo, inventando un lieve malessere.
Ora, sto descrivendo un episodio piccolo, ma già si possono vedere le conseguenze. Cosa imparano, i bambini? Sanno che con un poco di moine e di successivo lamento possono ricevere la giustificazione per il lavoro non fatto; imparano che le promesse possono non essere mantenute; imparano che papà “conta” più di mamma… Ecco. Tutte insieme, e se ripetute, queste conseguenze non sono sane.
La corta visione empatica le rende tutte, alla lunga, pericolose sul piano del comportamento etico.
Se Alberto fosse stato capace di uscire dalla zona scura dell’empatia, avrebbe potuto utilizzare un poco di sana lucidità intellettuale; avrebbe trattato con i suoi figli, magari dividendo il tempo a disposizione in due parti, una dedicata ai compiti e una di piacevole gioco insieme. Avrebbe affermato la sua autorità paterna e non avrebbe “minato” quella della madre.
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Un altro esempio
Questo esempio ci aiuta anche a capire il tipo di ragioni che sottostanno all’empatia e quelle che sottostanno alla logica.
Luigi ha fatto riparare per la seconda volta l’auto dal meccanico; il primo intervento era stato insufficiente e ora anche il secondo gli mostra che non tutto funziona come dovrebbe. E’ piuttosto arrabbiato e dice a Sonia che cambierà officina, da subito. E andrà a chiedere i danni, se il nuovo meccanico gli conferma che il lavoro è stato fatto in modo non professionale!
Sonia è più accomodante: sono anni che vanno da quel meccanico, si è instaurato un rapporto cordiale, lei sa che Mauro – il meccanico – si sta separando dalla moglie… è in un momento confuso, dice a Luigi, diamogli un’altra possibilità.
Luigi reagisce: si separa e non sa più lavorare? Ma ti ricordi quando fu operato Marcello, le giornate in ospedale mie e tue, la paura per il bambino? Ma se avessi sbagliato le dichiarazioni dei redditi, tu pensi che i miei clienti si sarebbero commossi per la situazione del nostro bambino? Cosa c’entra? Se ti accorgi che sei turbato, passa il lavoro al tuo collega! Se fai il lavoro male, tra l’altro, poi i clienti se ne vanno, giusto?
Nel dialogo tra questi due coniugi, Sonia porta l’empatia: le viene facile mettersi nei panni di Mauro, e mettere se stessa e il marito in secondo piano. Diamo a “lui” un’opportunità.
Luigi porta la logica: è più distaccato, ragiona in termini di obiettivi da mantenere e anche in termini di futuro: un’azienda che fa male il suo lavoro perde i clienti.
Non so dirti che cosa, alla fine, abbiano deciso Luigi e Sonia. Quello che volevo mostrarti è che vi sono “ragioni” da entrambe le parti. Nel senso che entrambi sanno dare una ragione della loro scelta.
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Questi sono esempi piccolissimi. Ma mi auguro siano utili a comprendere questi meccanismi e a ricordarsi che, accanto all’empatia e alla intelligenza emotiva, occorre avere una sana intelligenza logica capace del giusto distacco.
Solo equilibrando questi due poli si può imparare ad ascoltare cuore e mente, trovando nuove soluzioni più salutari e durevoli nel tempo.
Riflessioni
- Cosa ne pensi?
- Ti consideri una persona dotata maggiormente di intelligenza emotivo-empatica o logica?
- Riesci a vedere i doni e i limiti di entrambe queste intelligenze?
- Se guardi alla società, riesci a comprendere questi meccanismi in azione nei gruppi sociali?
- Riesci a comprendere come la pubblicità, il marketing, la comunicazione in generale utilizzi questi concetti per i propri scopi?
- Ascolta il tipo di comunicazione, per esempio, dei politici: che aree vanno a sollecitare?
Grazie per la lettura. Se questo articolo ti è piaciuto, grazie anche per un tuo commento e anche della condivisione.
Franca Errani
Penso che l'empatia non abbia un lato oscuro come tu dici. In realtà tutto può essere distorto, è l'individuo che semmai non è in equilibrio tra le tre caratteristiche: ragione, volontà, emozione.
un caro saluto
Ciao Andrea e grazie del tuo commento. Come tu dici, tutto può essere distorto, e questo è frutto delle nostre identificazioni, mancanza di equilibrio eccetera. Possiamo immaginare l'empatia come una qualità di per sé pura, che passando attraverso il filtro della nostra personalità, può assumere aspetti distorti, eccessivi, che a quel punto diventano non di aiuto ma "trappole" nella relazione con gli altri – e anche con noi stessi. Buona giornata!
Empatia in eccesso che diventa… simpatia… Vedi punto tre del seguente link: http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/S/simpatia.shtml
A me capita ogni tanto… a volte penso che alla naturale empatia che provo per le situazioni che mi capitano, aggiungo l'empatia per le mie parti che risuonano con la situazione…