Franca mi ha chiesto di scrivere due righe sulla mia esperienza di facilitatrice dell’atelier espressivo, nell’ambito dell’assistenza al triennio di Formazione, nella scuola di Counseling da lei diretta. Intanto la ringrazio, anche pubblicamente, per questa bellissima e proficua esperienza, attraverso la quale ho potuto fare conoscenza pratica di me stessa nella conduzione di un gruppo numeroso di persone.
Per aver creduto in me, per avermi dato fiducia e delegato un compito così importante. Le sono grata anche per questo “resoconto” che mi ha permesso un approfondimento più ampio.
Voglio parlarvi di me, delle mie esperienze nell’ambito della creatività, attraverso alcune riflessioni, appunti mattutini, evidenziando alcuni aspetti che mi hanno caratterizzato in passato, negli anni dell’assistenza e in maniera trasformata, mi accompagnano tuttora.
È strana la vita, solo verso la fine del mio mandato ho cominciato a considerare tutto il percorso come una opportunità, anche perché parte, forse, di un progetto futuro. Altrimenti sono sempre stata dentro il fare, la responsabilità del mio ruolo e non mi sono distaccata da esso. Per dirla in termini tecnici, non ho fatto la visione lucida di ciò che stavo facendo, ero operativa. Adesso, grazie a diverse sollecitazioni di Franca, sempre presente, discreta e in ascolto, comincio a mettere insieme i tasselli e provo a rintracciare gli “appunti” interiori di questa esperienza e farvene partecipi, partendo da un piccolo inciso autobiografico.
La pittura mi accompagna dall’87, alternando momenti produttivi ad altri più introspettivi. Ho spesso pensato che i momenti meno produttivi fossero negativi alla mia creatività, invece ora penso che siano quasi necessari, per attingere a nuove informazioni attraverso la sedimentazione delle esperienze. Quando mi “fermo” si creano delle opportunità interiori. Il dipingere è sempre stata una sfida silente con me stessa, con quella parte più intima, che aveva bisogno di me, di farsi vedere, non lo sapevo che fosse anche una sfida, l’ho scoperto in seguito.
Le sfide della Vita possono cambiare le abitudini, agevolare la trasformazione. Accettare le sfide è una sfida, superarle, un obiettivo. La Vita è un continuo flusso che ti riporta vecchie questioni e se vuoi crescere, come persona, le devi affrontare, prima o poi; saperle cogliere, riconoscere e accettare o lasciarle andare ancora una volta e aspettare che si ripresentino, forse! Per diversi anni ho sperimentato varie tecniche pittoriche per poi approdare alla lavorazione della creta e della cottura Raku. Oggi mi diletto nella pittura antroposofica e non smetto mai di scoprire tante parti di me che soggiacciono oltre il confine della materialità del corpo fisico e della mente razionale.
Non so per voi, ma per me il mattino, appena sveglia e con un po’ di tempo per poltrire, è un momento molto fertile. È come se un’altra Giusi dentro di me avesse fatto esperienza notturna e mi riferisse quello che ha imparato nel frattempo, mentre io dormivo. Così si palesano frasi, contenuti, che spesso mi chiarificano alcuni dubbi esistenziali, oppure, quella Giusi, mi porta argomenti interessanti che possono essere approfonditi nel tempo. Certe volte mi sveglio con una sola parola come ricordo. Una mattina al risveglio le prime parole che ho detto sono state: espressionismo cognitivo…Non so proprio cosa mi voglia riferire, ma potrebbe essere una nuova corrente artistica, non si sa mai, se non esiste già. Di recente mi è capitato di avere, al risveglio improvviso, una conferenza già bella e guarnita.
Così, tra una frase intuita, un’altra tratta dal vissuto, come l’esperienza dell’atelier nel percorso di formazione e una frase ripresa da qualche libro, che cito, vi riporto alcune mie riflessioni e argomenti sui quali mi interrogo da sempre e che ho messo in grassetto.
Spero che vi possa far pensare…e che quello che “vedrete” sia una piccola parte di voi, riflessa.
Vi abbraccio col cuore.
Giusi
L’incontro con sé stessi è uno dei compiti della mia vita, sia per me stessa che quando incontro altri nelle sedute. Cosa voglio dire con: sé stessi? Intanto guardarsi dentro, farsi le domande, interrogarsi sulla propria esistenza. Le sfaccettature interiori possono parlare di mille mondi e bisogna essere fiduciosi sulle capacità della mente di adattarsi a nuove sollecitazioni per uscire da automatismi o blocchi creativi. Uscire dal torpore creativo significa riempire la propria vita di contenuti. A volte ho un certo pudore nella ricerca, ma se il pudore è condiviso, non tenuto celato, non è più un ostacolo alla trasformazione. E’ stato molto importante, per me, restituire al pudore il significato giusto.
Penso che ogni età sia quella giusta per essere felici, realizzati e la perseveranza è un elemento necessario se si vogliono ottenere dei risultati. La tenacia nel perseverare è un mezzo per arrivare allo scopo. Ho imparato che la volontà segue le intenzioni e fa sì che i pensieri diventino realtà; bisogna quindi trovare le risorse interiori per incentivare la volontà ad ottenere i risultati. La elaborazione, la crescita, si vede in seguito, dai risultati. Perciò è importante saper riconoscere le intenzioni giuste, le intenzioni dell’anima.
Jung ha detto: “ciò che influisce psicologicamente sull’ambiente e in particolare, sui figli, è la vita non vissuta dei genitori”.
Questo concetto contiene un profondo senso di verità che ho riconosciuto e analizzato, che delinea come i nostri affanni, spesso, ma non sempre, sono bruciati da intenzioni non nostre. Per tutta la mia vita ho cercato e cercherò di comprendere e separare da me quello che mi appartiene veramente da quello che mi è stato inculcato. Questa ricerca è partita nel momento in cui ho cominciato a dipingere, ma ricordo che sin da piccola, quando mia madre mi voleva a tutti i costi imporre qualcosa che non mi andava, le dicevo: mostrami un libro, un documento ufficiale che dica che Giuseppina Ulivieri deve fare la tale cosa ed io la farò. A volte si arrabbiava e altre mi guardava senza parole come se stesse elaborando la mia richiesta. Credo che la stia elaborando ancora, visto che molte cose della mia vita non le comprende del tutto. Non credo proprio che fosse solo la mia indole ribelle, penso che avessi già dentro di me un semino che cercava giustizia circa le cose appropriate a me. Avevo come un sentore che qualcosa non sarebbe andato nella direzione che volevo io e così fu per tanti anni.
La parola “significativo”, del mio primo mentore il pittore di Parma Ivo Bernazzoli scomparso troppo presto, (per merito suo ho imparato a tenere il pennello in mano e a dipingere ad olio), combacia con tante cose del mio essere. Lui mi diceva sempre ad ogni pennellata: Giusi la pennellata deve essere significativa, e aggiungo io: se vuoi che trasmetta qualcosa. Ogni pennellata può essere l’ultima, quella definitiva, quella che imprime nel dipinto quel pizzico di verità che un’altra persona può riconoscere in se stesso, mentre lo guarda. Ivo mi ha insegnato a vedere il colore. Prima, il colore, era solo associato ad un indumento, a delle cose materiali. Dopo l’esperienza pittorica con Ivo, il colore è diventato una entità a sé stante. Il colore è, per me, un’esperienza unica, guarisce l’anima che ti parla attraverso di esso e comunica qualcosa di te o ti annuncia un malessere e allo stesso tempo la cura.
Un dipinto è evocativo d’immagini interiori profonde e piene di significanti, quindi come non ascoltare Ivo a tal punto da sentire che questo concetto poteva essere quasi universale, da contestualizzarlo a qualsiasi situazione. Conoscere, individuare la propria indole ed imparare a rispettarla e a renderla significativa anche attraverso il colore. Anche fare una torta, una pietanza è significativo se, ai gesti, si associano altre cose come il piacere di cucinare, del far contenti tanti palati, nell’aver cercato gli ingredienti giusti e migliori, ecc… Dare significato alla propria esistenza aiuta a non disperdersi nella marea delle sollecitazioni.
Piano piano ogni paura può essere frantumata dai risultati e se questi sono significativi, ancora meglio.
Ho imparato, su di me, che se non si ascolta la propria voce creativa si rinuncia a qualcosa di importante di sé stessi. La rinuncia può essere un’ottima strada per l’annientamento dell’anima, per spegnere quel soffio vitale che ti ha portato qui.
Una vocina interiore pensava: se rinunci non rischi niente! Invece si rischia molto. Il rimandare, il procrastinare può essere un adattamento a qualcosa che è meglio rimandare piuttosto che affrontare e per un po’ può funzionare se in quel momento non ci sono realmente altre soluzioni. Ma il concetto di rinuncia fa parte del passato, perché ciò che è rimandato è già passato. Per cui, per ogni cosa a cui rinunciavo, ricalcavo il passato, non producendo niente di nuovo per me. Vivevo anche nel torpore e nel crogiuolo del senso di inferiorità.
Ora penso: se decido di non fare una cosa, mi tolgo il pensiero, se invece decido di farla mi tolgo il pensiero lo stesso e forse sono più soddisfatta.
Altro tema che mi attraversa da sempre è la pigrizia. Una mattina, al mio risveglio, arriva questo concetto: trasformando la pigrizia in flemma, la flemma in cautela, la cautela in prudenza, la prudenza in riflessione, si può cominciare a creare.
Giusi, l’altra, quella notturna e a cui voglio tanto bene, aveva cercato per me una risposta plausibile e produttiva, una risposta che potesse essere capita dalla mia coscienza e accettata dalla mia mente vigile. Era un aiuto, un inizio. L’inizio è un inizio e può anche passare dal taglio dei capelli, intanto iniziare attiva un processo e dal processo si possono osservare i risultati. L’inizio è la tensione giusta opposta alla pigrizia. Tendere ad un risultato, ovvero, avere l’aspettativa di esso, può essere un ostacolo, può creare un cortocircuito interiore che paralizza l’agire. Intanto il cambiamento avviene nonostante le apparenze.
Interagire con l’Universo. Quando la Vita viene incontro alle tue aspirazioni, non puoi più fare finta di non vederle e non fartene carico. Quando iniziai a dipingere mi si aprirono tante strade e alcuni risultati non potevano che spronarmi a proseguire, ma…
L’ombra è stato, da sempre, l’unico modo per stare al mondo e da sola, tassello dopo tassello, mi sono resa invisibile a me stessa a tal punto che neanche più l’ombra riuscivo ad emanare. Ho avuto un grande Maestro dell’Ombra a cui ora voglio molto bene e del quale ho capito il compito duro e controverso, mio Padre. Lui mi ha educata alla Luce, con una scuola severa e costantemente ai “fianchi”.
Uscire dall’ombra è stato un atto fisico, non mentale, così come l’ombra stessa è un effetto fisico. Se ostacoliamo la luce non vedremo con chiarezza il nostro cammino.
Jung dice: non si diventa illuminati perché si immagina qualcosa di chiaro, ma perché si rende cosciente l’oscuro. Così da un inizio doloroso ho deciso di uscire dall’ombra e cercare la luce fuori e dentro di me. L’arte mi ha veicolato verso la luce attingendo continuamente dall’ombra. Ho fatto “il passo dell’uscio” (come direbbe mia suocera Alba, toscana di nascita) e da lì ora osservo la realtà. Se cominci a vederti, anche gli altri lo faranno e puoi stare certa che lo capirai.
A che livello è il tuo bicchiere? Da dove stai guardando la tua realtà, dal bicchiere mezzo…? Mai non esiste e niente è troppo poco, (diceva mio nonno materno, Antonio), quindi?
In fondo, come esseri umani, siamo coinvolti in una esplor-azione continua, sia che si faccia che non si faccia, sia che si creda o no in quello che si fa. Tanto si fa sempre e comunque. Scegliere invece è già una conquista.
Con la comprensione si può arrivare a capire cosa si è fatto, se si è consapevoli si capisce quello che si fa e si farà.
Domenico Lannutti, attore comico pieno di energia creativa e talento, ad un seminario ha detto: non è solo importante ciò che metti dentro, ma quello che butti fuori. Per me il buttare fuori combacia con tre forme di vivere artisticamente, in ordine di apparizione nella mia vita: la pittura, l’arte, la creatività; il Voice Dialogue e, terza, la medianità, che chimicamente e magicamente contiene le altre.
Questo è l’incedere! Vedere, riconoscere le cose che nutrono e distinguerle da quelle di facciata, come un giorno mi disse la collega Alessandra Ferretti, parlando d’altro. Lei non lo sa, ma mi ha aiutato a capire meglio e la ringrazio.
Paura della Vita e audacia un binomio da comprendere e che mi segue passo dopo passo. Il mio futuro era ieri, è bastato capirlo in una micro scintilla di consapevolezza. Quello che può sembrare audace ad un altro in realtà per te è normale e viceversa. Diventa sensazionale se supera le barriere della paura personale, questo è stato per tanto tempo il mio metro di misura. Tutto dipende se si ha paura della vita o fiducia. Ognuno ha il suo dosaggio e da lì osserva l’operato degli altri oltre al proprio e valuta un’azione. Questa tensione interiore è percepita da chi osserva dal di fuori. L’apprezzamento se c’è è dato dal fatto che viene riconosciuta la tensione stessa che rende speciale il risultato. La tensione è un game interiore di energie che se vissute con consapevolezza fanno superare le paure, le trasformano in “coraggio”, in risultato.
Nella solitudine entro nel senso della vita e dalla solitudine traggo tutto il giovamento di cui ho bisogno per ricaricarmi. Dalla solitudine devo a volte fuggire per non perdermi troppo. Solitudine, quindi, come risorsa, ascolto di sé.
E passo dopo passo, respiro dopo respiro, entro nella mia Anima, la osservo e prendendola per mano o mi porta lei, andiamo nel mondo.
Ogni momento contiene la sua verità, sta a noi saperla riconoscere e cogliere come un fiore appena sbocciato; la ricerca interiore non può avere fine, è l’unico scopo vero, l’unico senso della mia vita. Lo scopo che porta alla Libertà. L’incontro con sé stessi è spesso una scoperta affascinante e piena di sorprese, piacevoli e meno piacevoli. Come mi piace spesso dire: una caccia al tesoro, dove tappa dopo tappa, mi sto avvicinando sempre più al tesoro e il tesoro sono io.
Un piccolo seme chiede di diventare una grande pianta; entrare nel proprio mondo creativo ed attraversarlo tutto, questo è il senso della felicità per me, ora. Anche nel mio lavoro quotidiano, con gli altri, l’attenzione prioritaria è quella di ascoltare il “rumore” che fa il seme nell’anima dell’altro mentre scava e cerca la propria strada e di aiutarlo a venire alla luce.
Il metodo Voice Dialogue penetra la materia psichica, la densità della nostra personalità e crea trittici, dittici, ritratti e sculture cariche di energia. Dentro ci sono i se “personaggi” che si muovono come in un racconto, creando immagini dinamiche che si auto-svelano al loro esprimersi.
La seduta di V.D., in fondo, è una “visione” che va oltre il tangibile anche se la Mente collabora con lo Spirito. Arredare nel modo giusto il proprio “spazio” interiore è un grande impegno. Occorre conoscere il linguaggio energetico di ogni ambito.
Come le cellule del fegato stanno bene lì e non altrove, così le nostre energie interiori ambiscono ad avere il loro “pied-a-terre” dentro di noi; arredarlo, correlarlo delle cose giuste e nutrienti per la loro esistenza, per affrontare al meglio il viaggio nella Vita.
Ogni stanza psichica ha la sua personalità e il suo arredo specifico. Ci pensate avere una stanza barocca adiacente ad una minimalista, stile loft? Ebbene dentro di me ce ne sono e di tanti stili e questo mi fa tanto sorridere. E pensare che alcuni cercano di creare un unico stile di arredamento per la propria casa, quella in mattoni per intenderci, quando in realtà ogni stanza contiene momenti diversi, energie diversificate.
L’uomo non può fare a meno di desiderare di esprimere se stesso e per questo, in tutta la sua esistenza, cerca dei mezzi per farlo. Attraverso il lavoro, gli affetti, gli hobby, i vestiti, gli accessori, il cibo, l’arte, un progetto, un figlio… Quando qualcosa spegne la fiamma che tiene viva questa necessità, allora qualcosa rischia di morire per sempre. L’essere umano ha bisogno di di-mostrare la sua esistenza, dalla nascita, in contrapposizione con la sua fine. Questo è un esempio di polarità a cui non ci si può sottrarre, che, se vista come un continuum, non appare più come polarità.
L’uomo fintanto che c’è, esiste. E se esiste, lo fa attraverso l’espressività che lo di-mostra al mondo.
L’uomo si auto-crea continuamente, in ogni gesto che compie, in ogni pensiero e la consapevolezza lo rende unico. La Consapevolezza è “La bonifica dell’anima” (non ricordo più se è mia o di altri autori, se è così mi scuso sin da ora di non ricordare la fonte).
Sentire e riconoscere la vena poetico-artistica. A volte, nonostante il lavoro di questi ultimi 20 anni su di me, non so perché agisco in un “certo” modo. Mi accorgo solo in seguito che era un modo necessario per arrivare ad un determinato obiettivo.
Per farvi un esempio, ricordo che nell’87 dovevo andare in India con il “fidanzato” di allora. Qualche tempo prima della partenza, lui doveva andare a Milano perché il suo psicoanalista era lì. Io gli chiesi di andare con lui in treno e ne rimase molto sorpreso. In verità anche io mi sorpresi per questa richiesta e non capii perché la feci. In seguito mi resi conto che volevo fare un esperimento, prima di partire con lui per l’India. Non l’ho capito subito e non l’ho neanche premeditato, è solo successo.
Non sempre si può comprendere la propria natura, non in tutte le sue sfumature e particolarità. Sento che aiuta la fiducia nel percorso e in una intelligenza che ci guida e ci porta verso se stessi.
Bisogna allenarsi al contatto con se stessi; toccare le corde più profonde della propria anima e renderle visibili non solo a sé, ma anche agli altri, magari anche solo a quelli che ci stanno vicino.
Possiamo riconoscere il momento del cambiamento solo se ampliamo il livello di comunicazione interiore. Il contatto con questo mondo porta a maggiore flessibilità rispetto al movimento della nostra vita, a vedere con più chiarezza, a sentire i veri bisogni e a fare le cose giuste per noi.
Ci muoviamo tanto “fuori”, nel mondo, ma se rimaniamo fermi dentro, il traguardo che raggiungiamo è come un miraggio nel deserto. Prima o poi svanisce.
L’arte, in verità, non rispecchia la vita, ma lo spettatore (Oscar Wilde).
Io aggiungo, molto modestamente, che l’arte è per lo spettatore che sa dialogare con se stesso.
È per questo che un’opera d’arte diventa geniale oppure no. Di per sé l’arte non serve a niente, è inutile, per citare ancora Wilde, ma diventa necessaria, aggiungo io, quando attraverso di essa ci si riconosce e mostra come l’osservatore sta evolvendo nel tempo. Per me dipingere significa mostrare a me stessa la mia vitalità, l’essere vivi dentro e chissà che qualcun altro osservandola veda se stesso.
Il tempo lineare scorre inesorabile con un inizio ed una fine. Il tempo circolare non ha tempo. Quando rimaniamo collegati, attaccati alla nostra immagine giovanile e non riusciamo ad accettare il tempo che passa, non viviamo artisticamente la vita, ma la paralizziamo, la congeliamo solo in un piccolo fotogramma rispetto alla intera esistenza. Dov’è la vitalità che fluisce? L’àncora interiore, che poniamo come soglia invalicabile, ci mostra il confine oltre il quale c’è la paura di morire e di non poter perpetrare la nostra immagine nella realtà; invece, prima o poi, l’immagine svanirà e questa è, ancora oggi, una condizione inaccettabile per molti. L’immagine come forma concreta della esistenza. L’accettazione dell’invecchiamento significa comprendere la propria trasformazione ed evoluzione verso il mistero che ci attende. Come il danzatore Sufi trova nella roteazione circolare il senso della esistenza dell’umano incedere, collegato al sovrannaturale, una comunicazione delicata e forte allo stesso tempo, in una tensione di forze opposte e imprescindibili legate alla corporeità e allo stesso tempo alla spiritualità, così noi cerchiamo eternamente e circolarmente di rincorrere qualcosa che esprima al meglio la nostra realizzazione sempre più pregna e fedele alla nostra impronta psichica. Non una sterile formula, un bisogno di porre dei confini razionali al mistero, prigioniera di una forma.
Quando mi guardo allo specchio da vicino, a volte, riesco ad annullare gli effetti dell’invecchiamento con lo sguardo amorevole verso me stessa e vedo quello che ero, giovane, bella, dolce e priva di affanno apparente. Provo tanto amore e tenerezza per me e mi voglio bene, adesso. Altre volte quando mi osservo da più lontano, vedo l’incedere del tempo inesorabile e fedele a se stesso, nel suo compimento, anche se non è sempre così. Questo per dire che il punto di vista è tutto nella nostra esistenza e tutto parte da questo concetto. Così come nel triangolo essere-fare-avere…Lo conoscete? Da dove è meglio partire dall’essere, dal fare o dall’avere? A seconda da dove parto otterrò dei risultati attinenti e se non mi soddisfano devo ritornare sui miei passi e capire perché sono partita da lì.
Così, con la mia formazione e l’assistenza, se prima dipingevo e basta ora sono anche in grado di sapere il perché. Ogni momento vissuto con i ragazzi del corso, mi ha permesso di accedere un pochino a quelle “stanze” psichiche, intime, sacre di ognuno e di me stessa e da lì pro-muovere verso una sollecitazione che spronasse l’altro alla sfida con se stesso. I lavori prodotti, seminario dopo seminario, hanno mostrato il grado d’impegno, di sofferenza, di gioia, di curiosità e di evoluzione in ognuno di loro, anche nei più refrattari, ribelli o sfiduciati. L’ultimo lavoro fatto insieme a loro, nella bellissima cornice di casa Faustina, quello di “co-operazione” di co-creazione, ha mostrato come le singole diversità si siano collegate tra loro in uno sforzo creativo e di comprensione, non solo del proprio sforzo, ma anche di quello degli altri, all’interno del proprio gruppo e verso gli altri gruppi. Il risultato finale? Un tripudio di colori, di intime essenze, di semi che aspettano di germogliare o frutti già maturi che aspettano di essere visti e colti.
Ci vuole tanto rispetto, delicatezza, conoscenza di se per entrare nel mondo energetico altrui e questo l’ho compreso molto bene da questa esperienza di facilitazione dell’atelier espressivo. Spero di aver messo in pratica, almeno in qualche istante, questi concetti. Sicuramente ho compreso cose nuove per me.
Ringrazio anche tutti gli studenti, ora colleghi counselor, per avermi assecondato nel percorso e auguro a tutti loro di avere la fortuna che ho avuto io nell’incontrare alcune persone che difficilmente potrò dimenticare perché hanno segnato una svolta nella mia vita.
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