Cosa succede quando succede qualcosa di Piero Negri

da | Ago 15, 2016 | Blog | 0 commenti

Ce lo si domanda sempre un po’, magari senza averne percezione chiara e distinta -inconsciamente- usa dire in questi contesti: “Ma che andiamo a fare, esattamente? E tu la tipa conosci? Chi ci sarà? Mica devo parlare per forza?”

Succede sempre, o quasi sempre, che prima dell’inizio (estremamente puntuale, tra l’altro) la gente vaghi più o meno timida per la sala stringendo mani con poca convinzione, producendosi in sorrisi quasi forzati…i miei di sicuro lo erano in quel momento.
Quando poi arrivano quelli che l’altra volta già c’erano è tutto un baci e abbracci tra di loro, grandi pacche sulle spalle e sorrisi così schietti da farmi quasi invidia.
Un gruppo è lì, già composto e pronto dopo il primo incontro. Molti di noi, appena arrivati non ne fanno parte. Soprattutto non ne faccio parte io. Basta davvero così poco per farmi sentire escluso ? Sto esagerando, certo, ma non così tanto quanto potreste pensare.

Poi si inizia, come già detto, con precisione sabauda. Ci sediamo in cerchio, ci guardiamo ancora l’un l’altro. Partono dunque le presentazioni, solo che non siamo “noi” ad introdurci agli altri con i soliti “ciao a tutti mi chiamo Tizio”, “faccio questo e quest’altro”, “nel tempo libero amo fare tiritì e tirità”. Caterina, infatti, chiede che per ognuno le presentazioni siano fatte da una persona molto cara. Una che ci conosca davvero.
Come vi presenterebbe una persona così? Cosa direbbe di voi? Se ci si pensa è un po’ strano ma anche tanto intrigante: quali “parti” di noi questa persona vedrebbe? Sono le stesse con cui noi di solito ci presentiamo agli altri? E, soprattutto, che cosa si sente dentro quando si “fa finta” di essere un altro che ci conosce da tempo?
I bambini che giocano a mamma e papà lo sanno, i “grandi” che si siedono tra di loro in un cerchio provano a riscoprirlo insieme.
“Gli voglio tanto bene” ho detto quando “sono stato” la persona a me cara. Che bella sensazione.
Per la presentazione abbiamo tirato in ballo: madri, padri, zie, amici di una vita, fidanzati, figli, mariti, mogli, amiche.
Ascoltando gli altri a me è venuto in mente questo brano che ho scritto un po’ di tempo fa ma in quel momento nel cerchio non sapevo come dirlo e forse non era poi granché importante.

Poi il cerchio, sollecitato da Caterina, ha parlato di nuovo: abbiamo raccontato di sintomi nel corpo e nella mente che ci portiamo appresso da qualche anno o da una vita intera. Poco o tanto che sia, siamo tutti un po’ stufi di questo bagaglio e ce ne vorremmo disfare. Ma in fondo sappiamo che prima di lasciarcelo alle spalle è il caso di fermarci un momento, aprirlo ‘sto benedetto bagaglio e vedere per bene, una volta e per tutte, cosa c’è dentro.

Tra i sintomi elencati sembrano abbondare le cervicali. Uno dei doloranti si propone e con Caterina inizia un viaggio. Davanti a noi, quest’uomo e Caterina, mano nella mano, fanno la strada dal 2014 al 2010 percorrendo un anno ad ogni passo alla ricerca di avvenimenti significativi, di spunti, di fascinazioni. Mano nella mano, che in certi momenti sembrano una maestra con il bambino e in altri due piccoli esploratori lontani da casa milioni di anni luce.

Cosa succede quando succede qualcosa?
beh, tante cose. Per esempio che un uomo può entrare così bene dentro se stesso da riuscire a rappresentare con l’intero corpo la “propria cervicale” a farne una scultura umana dando a se stesso e al cerchio di uomini e donne intorno a lui il significato, “la qualità”, che quel dolore ha in 4 anni assunto dentro la sua carne ed il suo spirito. Un altro passo dentro di sé e quell’uomo diventa la propria cervicale, il proprio piccolo/grande dolore che assume significati forse per lui nuovi. E’ un dolore che interrogato da Caterina parla e lo avverte di alcuni suoi eccessi. Un dolore, questo, che si dice pronto a scatenare un crescendo di avvertimenti fino al “blocco” completo se non verrá ascoltato.

La prossima persona che ci porta in un viaggio dentro di sè è una donna: un po’ credo sia per par condicio, un po’ perchè di maschi siamo effettivamente solo in quattro su tredici!
Un viaggio intimo il suo ed il nostro dietro di lei. In certi momenti, faticoso e lungo, in altri allegro e velato da quella malinconia che il tempo posa sui ricordi delle cose passate. La gioventù, per esempio.
Il viaggio termina in un modo dolcissimo: con noi tutti che mettiamo una mano sulla spalla della nostra “capitana” e diciamo in sua vece delle parole rivolti ad una persona a lei molto cara e vicina che la sua storia ha evocato in quella sala per lei e per noi.
A turno tutti ci alziamo, tutti posiamo una mano sulla sua spalla, come a farle forza, a significare “ci sono io adesso e prenderò un po’ del tuo peso” e tutti diciamo parole diverse. Chi scherzose, chi incazzate dal dolore, chi piene di tristezza. A me sale una sensazione fortissima quando prendo la parola. Sento che le mie sono le parole senza appello di un bambino perso, offeso, abbandonato. Per chi dico quelle parole? Per la mia nuova amica? Per il suo dolore o per il mio? E se è per il suo, allora da dove mi è uscita fuori tutta questa capacità di entrare nelle storie altrui?
Ecco un’altra cosa che succede quando succede qualcosa: che i confini si allentano, le persone iniziano a provare una comunione di sensazioni. Vasi comunicanti, antenne che captano le onde più sottili e deboli: questo siamo diventati, per qualche ora, insieme.

E così, quando dopo altri esercizi e visualizzazioni viene il momento di salutarci si è formato un nuovo gruppo, più ampio del precedente. Ora è tutto un fiorire di baci di saluto e squittii allegri e di “la prossima volta voglio invitare anche altri due miei amici”, “ma allora quando ci vediamo?”, “vi lascio la mia mail” e così via.
Sono gruppi questi di persone che non si trovano “insieme per caso” al lavoro o a scuola. Persone che non sono accomunate dal ceto sociale ed economico, e nemmeno più di tanto da idee politiche o dal modo di divertirsi la sera.
Sono gruppi questi che nascono dall’esigenza comune di una crescita, di un passo in avanti nella propria vita e dalla comprensione che farlo in mezzo agli altri sia, alle volte, il solo mezzo possibile.
Di sicuro, il più divertente.
Ecco secondo me cosa succede quando succede qualcosa, si accende una speranza, una piccola gioia, forse, anche un scintilla di consapevolezza su di sè, gli altri e il mondo che ci circonda.
Almeno a me così è sembrato quel sabato.

 

Piero Negri

www.pieronegri.worpress.com

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