Il prezzo del successo

da | Ott 30, 2018 | Blog, In primo piano | 0 commenti

Qualsiasi successo ha un prezzo da pagare. In questa storia, L’incubo di Fernando, utilizzo il tema dell’arte per parlarne. Il riferimento a un artista famoso è solo una mia fantasia.

All’inizio, più che un incubo si trattava semplicemente di un sogno – leggermente irritante e nulla più. Figure di donna, in genere; ma anche ragazzi e bambini dalle forme snelle, agili, dagli occhi vivaci che ti guardano dentro e che lo circondavano, gli andavano dietro, cercavano di attirare la sua attenzione. Fernando li ignorava divertito a volte, a volte invece infastidito: cosa volevano da lui queste creature esili, fluttuanti, vestiti appena da veli o lembi di stoffa?

Poi le figure erano diventate più minacciose: volevano la sua attenzione in tutti i modi. Qualcuno lo tirava per la manica, un altro gli batteva sulla spalla; una ragazza decisamente magra gli camminava davanti, guardandolo dritto negli occhi con uno sguardo impertinente, indietreggiando davanti a lui senza mai sbagliare un passo, senza inciampare o gettare un’occhiata al sentiero che si faceva via via più disagiato. 

Nel giro di una settimana, la situazione era precipitata. In un momento complesso, mentre stava completando un dipinto importante, una trilogia sulla famiglia, con le sue figure vaste e debordanti dai colori soleggiati, con quei volumi rotondi che gli erano arrivati, inizialmente, nel dipingere un mandolino. Ricordava ancora molto bene la sensazione che aveva provato con quel primo dipinto: il mandolino, quasi con una propria spinta interna, si era ampliato, arrotondato, arrivando a riempire la superficie del quadro ben oltre le dimensioni reali. Volumi e campiture di colore, volumi sensuali, ecco, questo è il mondo che, da quel primo momento, gli si è sviluppato dentro e che lo ha fatto essere noto e amato nel mondo.  

Da sogno a incubo…

Ora, nelle notti sempre più corte, le figure che lo inseguono si stanno  scheletrendo. I volti sono emaciati, seppure con colori vivi e occhi penetranti e pieni di emozioni – quanto sono invece vuoti e distanti gli occhi dei personaggi dei suoi quadri. 

Ogni mattina Botero si sveglia inquieto, irritato, svogliato perfino. Dipinge con un vago senso di colpa le sue figure voluminose. Non grasse! Come si irrita se qualcuno gli dice che lui dipinge figure obese! Gambe come colonne, ventri come otri, colli come capitelli. Volumi, insiste, solo volumi… Ma ora, mentre il pennello segue con la solita cura le vaste curve di un fianco, di un polpaccio-colonna, di un volto rotondo come un globo, Fernando vede al di sotto le ossa sottili, gli scheletri esili, giallini, dai movimenti secchi e spezzettati, dai tendini perlacei che brillano nel buio della notte e che le sue notti infestano ormai da molte settimane. 

Il tempo stringe; una mostra importante è alle porte e la trilogia è il lavoro nuovo che vuole esporre, ampio e solenne, fisso ed eterno. Ha sempre provato piacere nel dipingere le enormi forme che diventano esseri umani, cavalli, tori, acrobati, musicisti, monne Lise. Ma ora quel piacere sensuale se n’è andato. La sera, si attarda cincischiando, guardando vecchi film o riviste d’arte, bevendo un whisky o un amaro… Anche ammesso, per dire, anche ammesso che lui dipingesse queste figure anoressiche, quale gallerista mai le prenderebbe? Il suo pubblico ADORA le sue figure grasse, le rotondità da mongolfiera di corpi e animali. E’ vero, ora è molto noto, e lo è per i volumi, per quella certa staticità che fanno subito dire “Ah, questo è un Botero”. 

L’incubo del risveglio

Un incubo peggiore degli altri lo fa svegliare nel cuore della notte. Lo scheletro indietreggia davanti a lui,  guardandolo con occhi scintillanti e puntuti come punte di spada. Le ossa e i denti sbattono come nacchere fastidiose e festose al tempo stesso. 

Con un sospiro, Fernando si alza buttando di lato le coperte, prende una enorme tela e inizia a dipingere. Sul fondo scuro come quelli fiamminghi, lo scheletro emerge color avorio, con lumeggiature sapienti sulle ossa lunghe e sugli zigomi; i tendini sono d’argento delicato. Ai lati, altri scheletri appena accennati danzano con veli sottili come ragnatele, mentre più lontano un paio di alberi dai rami secchi, nero su nero, sembrano agitarsi anch’essi al ritmo delle nacchere che il primo scheletro, quello grande, muove con le sue falangi aride. 

Botero non mangia, non riposa; chiede solo acqua e un poco di pane secco. Secco come le ossa che sta dipingendo con uno strano sconosciuto senso di euforia. Un sollievo che non conosceva gli sgorga da dentro, da qualche parte del suo corpo che ancora non sa. 

Sfinito, si siede davanti a questa opera così diversa e piange. 

Poi, chiude il quadro a chiave in un armadio a due ante, di noce antico. Un bell’armadio dalle semplici modanature. Il suo segreto starà lì.

Ogni tanto, dopo essersi assicurato che in casa non vi sia anima viva, Botero prende una poltroncina, apre le due ante, si siede e guarda il suo incubo. 

Il suono delle nacchere gli crepita dentro, gioioso. 

 

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Franca Errani

 

 

 

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