Il fenomeno del “ritiro sociale” (Hikikomori) dei giovani è in aumento in Italia. Occorre saperlo riconoscere e affrontare…
“La vita in una stanza”
Sabato 16 febbraio ho partecipato al convegno “La vita in una stanza” tenutosi a Forlimpopoli e organizzato dalla associazione Hikikomori Italia Genitori Onlus, con il sostegno di diverse realtà istituzionali.
Vi erano più di 550 partecipanti, per la maggior parte genitori, insegnanti, medici e pediatri, professionisti.
Con piacere ho osservato che durante la settimana sui giornali sono apparse molte informazioni su questo disagio sociale (non ho tuttavia trovato molti riferimenti all’evento di Forlimpopoli). In ogni caso già in pochi giorni se ne parla di più e voglio darvi anche io il mio piccolo contributo.
Hikikomori in giapponese significa “ritiro sociale” e definisce la condizioni di giovani (principalmente ragazzi, ma anche ragazze) e di meno giovani che scelgono di distaccarsi dal mondo, chiudendosi nella propria stanza, per un disagio sempre crescente rispetto al mondo, alla pressione della scuola prima e della società poi.
Il Giappone ha conosciuto questo fenomeno con anticipo rispetto ad altri paesi, e la percentuale dei ragazzi che vivono questa condizioni è decisamente superiore a quella italiana (si parla di 541.000 casi nel 2016).
L’associazione italiana
In Italia il fenomeno ha cominciato ad essere conosciuto e studiato solo da un paio di anni. Il merito della maggior diffusione di questa conoscenza e quindi anche delle relative proposte di aiuto è certamente legato alla figura del dottor Marco Crepaldi, un giovane psicologo sociale che ha scritto la sua tesi proprio su questo fenomeno e che ha fondato l’associazione Hikikomori Italia.
Fondare l’associazione e ritrovarsi il sito pieno di dolorose richieste di aiuto da parte delle famiglie è stato tutt’uno. Perché questo è uno dei temi più complessi: in Italia non vi è ancora consapevolezza sociale, istituzionale di questo disagio e le famiglie sono lasciate sole a se stesse.
Penso che aver “dato un nome” al disagio – usando il già diffuso termine giapponese, come peraltro avviene in altri paesi – ha aiutato l’emersione del tema e quindi la possibilità di conoscerlo, affrontarlo, discuterne, sentirsi sostenuti.
Piccola nota a margine
“Sare il nome” a un fenomeno significa farlo finalmente essere evidente agli occhi di molti. Accadde a suo tempo con il tema delle “Esperienze di Pre-Morte” – NDE – Near Death Experiences- il cui termine fu coniato del dottor Raymond Moody, medico e ricercatore. Egli iniziò a interessarsi al fenomeno, a fare interviste alle persone che “rientravano”, a scrivere articoli scientifici e libri sull’argomento. Essendo uno scienziato, la sua ricerca e le sue testimonianze furono accolte con meno pregiudizi e oggi i due termini – inglese e italiano – sono ben conosciuti e accettati). Ma ora torniamo ai nostri Hikikomori…
Come sono, i giovani (e meno giovani) Hikikomori?
In genere sono ragazzi e ragazze molto intelligenti e sensibili, che vivono un rapporto complesso e altamente critico verso la scuola e la società, di cui mettono in discussione alcuni principi fondanti come il successo personale, la competizione, la realizzazione sociale “spinta” ed elevata a valore. Il tipo di pressione e competizione del nostro modello di vita è per loro decisamente troppo, ed ecco che si ritirano dalla gara prima ancora di averla iniziata, evitando lo sguardo degli altri.
A scuola possono essere stati soggetti a bullismo. Della società, e della sua impostazione legata al successo e alla competizione, hanno una visione profondamente negativa.
In famiglia – almeno stando all’esperienza giapponese – si ha spesso una figura di padre relativamente assente (specie sul piano emotivo) e una madre “preponderante” – che si potrebbe anche leggere una madre costretta ad assumere un ruolo più imponente per via della scarsa presenza energetica del marito.
Le tre fasi del ritiro
Il ritiro che questi giovani attuano attraversa delle fasi, che è importante imparare a conoscere perché prima si riconoscono i “campanelli di allarme” prima si può intervenire nel modo giusto.
Inizialmente il ragazzo /la ragazza inizia a sentire un desiderio di isolamento dai compagni e dalle altre persone perché prova malessere insieme agli altri. Può fare assenze saltuarie da scuola, abbandonare le attività sportive, stare molto nella sua stanza, aiutato in questo anche dalle nuove tecnologie – internet, video-games.
Nella seconda fase, il ragazzo inizia a trovare motivazioni razionali per isolarsi: la vede come la soluzione migliore e l’isolamento si prolunga, spesso con forti alterazioni del ritmo sonno-veglia. I rapporti con i famigliari è spesso alterato da conflitti.
La terza fase vede l’interruzione di tutte le relazioni, con una difficoltà sempre maggiore a rientrare nella vita.
E’ intuibile come il processo di passaggio da una fase all’altra non sia lineare, e come sia utile riuscire a riconoscere i sintomi iniziali per cercare il prima possibile il supporto esterno di un professionista. Ritengo quindi che elencarle sia utile a tutti i professionisti della relazione di aiuto, per aumentare la propria sensibilità rispetto a questo tema.
Come aiutare veramente
Quanto più tempo dura il ritiro, tanto più il tempo perde senso, il sentimento della vergogna si installa profondamente e il rischio è sempre più grande.
La vergogna e il dolore allagano le famiglie, che finora non hanno avuto praticamente alcun riferimento. Questo ha portato molti genitori, in perfetta buonafede, a fare i classici errori, peraltro suggeriti anche da insegnanti e professionisti: spronare in vari modi – “o studi o lavori”, “non essere pigro”, “guarda gli altri” eccetera…
Oggi finalmente si è compreso che prima di tutto viene la capacità di accettazione. Anche i genitori imparano a uscire dalla pressione sociale degli obiettivi da raggiungere, e a “stare” accanto al loro figlio o figlia così come è, allentando le imposizioni e le aspettative e utilizzando pazienza, supporto e comprensione.
L’aspetto di “sveglia” sociale
Il fenomeno di così tanti giovani molto intelligenti e sensibili che rifiutano lo stile di vita di oggi dovrebbe farci riflettere.
Pensandoci bene, l’immagine proposta dalla nostra società è narcisistica – non a caso vi sono tanti narcisisti a capo di grandi aziende o nella politica (citano molti studi psicologici); in questo senso potremmo considerare gli Hikikomori dei riflettori sociali che ci impongono, con la loro stanchezza di vivere, il loro rifiuto dei parametri “vincenti” del successo e della competizione, una riflessione che aiuti, oltre a loro, anche la società a ristrutturarsi secondo criteri più sani.
I nuovi passi
Il convegno ha visto la collaborazione delle istituzioni, la presenza di insegnanti e professionisti della psiche. I genitori hanno finalmente un riferimento.
Quando un disagio è “nominato” inizia a essere “visto” e le cose si mettono in moto… Lo stesso incredibile aumento di articoli sui giornali di questa ultima settimana segnala che l’attenzione si è destata.
I riferimenti
Questa mia sintesi è un omaggio ai professionisti e alle famiglie che stanno realizzando questa opera così importante.
Un grazie particolare da parte mia alla cara amica Dottoressa Antonella Rogai, che è stata una delle anime del convegno e la cui relazione, appassionata e competente insieme, porto ancora nel cuore.
Per avere maggiori informazioni, articoli, video e libri:
Su Facebook:
Hikikomori italia
Hikikomori Italia genitori onlus
Grazie per l’attenzione,
Franca Errani
Complimenti: non la conosco ma la sua sintesi è sensibile, acuta, perfetta in poche parole! Grazie per portare luce su un argomento ancora poco conosciuto e spesso, anzi, misconosciuto.
Il suo lavoro è prezioso
Grazie Angela!
Grazie di cuore per aver dato risalto al convegno e al fenomeno. Sono la mamma di una ragazza in ritiro sociale.
Grazie Tiziana.
Grazie Franca, molto interessante!
Ciao Maria Grazia! Buona domenica e grazie per il tuo commento