Il “mondo interiore”, con la sua sensibilità emotiva. è stato oggetto di studio e riflessione ormai da svariati decenni: ma accanto ai doni ci sono molte ombre cresciute attorno a questo tema. Ne esamino alcune in questo articolo.
Ebbene, sì, anche io ho contribuito alla diffusione del concetto/esperienza del “bambino interiore”, la parte di noi che resta, appunto, bambina e che può essere croce o delizia nel nostro percorso di vita. No, non sono pentita di questo insegnamento: anzi, continuo a ritenerlo vitale per la ricchezza che può contribuire a portarci: l’ho visto nelle tante persone che hanno fatto con me un percorso di crescita che comprende anche questo incontro: le persone letteralmente fioriscono, riscoprono talenti, sensibilità, creatività che credevano perdute – semmai sapevano di averle.
Il bambino interiore e il rovescio della medaglia…
Allora? Allora c’è anche il rovescio della medaglia. Per parte mia, ho sempre dato rilievo, nel mio insegnamento, anche agli aspetti “ombra” del bambino e con questo potrei mettermi l’animo in pace, dal punto di vista del mio minuscolo contributo allo spinoso tema.
Ma a livello collettivo, se non planetario almeno per quanto riguarda il mondo occidentale, l’onda di innamoramento del “mondo sensibile” e la crescente propensione a identificare come più importante l’empatia rispetto a ogni altro tipo di intelligenza umana ha sviluppato non tanto una accoglienza e quindi una guarigione del “bambino ferito” (su cui tanto si è scritto) ma la sua emersione prepotente e acritica. Non c’è nulla infatti di più sussiegoso, petulante e terrorizzante di una “ex” vulnerabilità che, diventata ufficialmente padrona del campo, santificata dal pensiero dominante, vuole dettare legge a destra e a manca, con il cartello ufficiale – fucile puntato – “io sono stata ferita”.
Ovvero: occorre ricordarsi di essere anche – o almeno di diventare “adulti”, nel senso pieno del termine. Diventare adulti significa confrontarsi, per esempio, con la frustrazione che non si può avere tutto, non lo si può avere subito. Che “anche” l’altro può avere le sue ragioni. Che i diversi punti di vista possono avere diversi tipi di saggezza e realtà e che in ogni caso meritano rispetto. Ma come si declina, oggi, il “diventare adulti”?
Ai primi del Novecento Freud dà uno shock al mondo con il suo concetto di “polimorfo perverso” legato al mondo infantile; più o meno nello stesso periodo si apre il “mondo archetipale” grazie agli studi di Joseph Campbell e alle intuizioni di Jung; il “fanciullo divino” è uno degli archetipi che più colpisce il nostro immaginario. Recuperare il bambino dentro di noi diventa uno dei temi nodali dei vari percorsi interiori nella seconda parte del Novecento, in particolare dagli anni ’70 in avanti, almeno qui in Italia.
Il problema è che… il bambino interiore è certamente un meraviglioso recupero, ma occorre muoversi con intelligenza, perché per ogni caratteristica positiva, costruttiva di questo mondo interiore vi son le relative distorsioni. Per esempio, la sensibilità è una bella cosa, ma la ipersensibilità, se non è gestita dalla guida saggia e amorevole di una parte di noi adulta, in grado di fare da genitore a quello che resta un mondo che ha bisogno di essere non solo acconto ma anche canalizzato e guidato, bene la ipersensibilità diventa permalosità, incapacità di accogliere la minima critica, il rischio di vedere critica là dove c’è semplicemente un’osservazione o al limite perfino un complimento.
“Diventare adulti”
Perché si possa “diventare adulti” in modo completo, occorre che iI bambino dentro di noi sia a contatto con un’energia femminile, yin, accogliente e ricettiva che lo sappia accogliere esattamente per come è; e che al tempo stesso sia a contatto con un’energia maschile, o yang, che sappia proteggerlo e gli sappia anche mettere dei limiti, dire quei sani “no” che anche i genitori devono saper dire ai loro figli.
Solo allora quella parte di mondo psichico che resta eternamente “bambina” (in senso archetipale) può offrirci i suoi doni: accanto a lei ci sarà un materno accogliente e un paterno che sa mettere sani confini. Insomma una famiglia interiore interiormente vitale, presente, fluida ma salda.
Oggi, anche i genitori reali hanno disimparato a dire di no ai loro bambini reali! I primi libri sono ancora di vari decenni fa, come “I no che aiutano a crescere” di Asha Phillips ( https://www.ibs.it/no-che-aiutano-a-crescere-libro-asha-phillips/e/9788807817243), avevano già evidenziato la deriva. Quando il “no” vacilla, il “si” dilaga: e lo vediamo bene in azione nei bambini di oggi, nelle quali grida si può cogliere (i pediatri lo colgono) il disperato bisogno di ricevere una guida.
Insomma: il grado di permalosità e “offendibilità” della nostra società sta raggiungendo livelli assai spettacolari. I campus universitari americani sono stati la prima culla di questo tipo distorto di sensibilità. 2008: in un college americano uno studente, seduto su una panchina, sta leggendo un libro storico sul movimento del Ku Klux Kan: la copertina del suddetto libro riporta un’illustrazione o foto della famigerata setta. Bene; su un’altra panchina un altro giovane studente, bell’anima candida, si sente “ferito” dalla copertina! Sì, dalla copertina. Nulla vale spiegargli che non è un libro a favore del KKK! “Lui” è ferito, profondamente ferito… e, mi dirai che non ci credi, ma il lettore è stato condannato – non so a cosa.
La sensibilità del giovane “ferito” dall’immagine del 1924 del Ku Klux Klan ha certamente diritto di esistenza nei nostri continenti psichici e, in giusto dosaggio, può diventare una risorsa: mi posso accorgere di quando una persona ha bisogno di aiuto, per esempio; posso provare empatia verso gli altri e mille altre cose belle. Ma sta di fatto che quando viene rovesciata a quintalate su un’altra persona – rea soltanto di star leggendo un libro di storia – sta mostrando che il sistema scricchiola paurosamente, che confonde interno con esterno, sensibilità ferita con volontà di ferire e così via.
Se infatti ti viene data ragione quando non ce l’hai o non l’hai pienamente, ti viene accordato lo status di vittima e puoi diventare ufficialmente il persecutore di chiunque la pensi diversamente da te o faccia cose diverse da quelle che tu ritieni in linea con la tua sensibilità (che porti in giro in modo tanto orgoglioso). Attorno alla scoperta del bambino ferito, dapprima nascosto dentro di noi ed ora esposto ai quattro venti in nome della importanza delle emozioni, si è creata una cultura terapeutica che sminuisce o addirittura disprezza il mondo dell’intelletto. Insomma, partendo da un sano desiderio di risanare un mondo emozionale un tempo considerato di serie B, oggi si assiste a una sorta di ossessione riguardo alle emozioni e al loro valore che spesso assume toni dogmatici. Ho toccato questo tema negli articoli: https://www.innerteam.it/il-lato-oscuro-dellempatia/ e https://www.innerteam.it/empatia-e-logica-tra-ombra-e-luce/, e infine in: https://www.innerteam.it/counseling-coaching-le-energie/, dove approfondisco il teme delle energie personali e impersonali, che ci possono aiutare nell’importante compito di “fare da genitori” al mondo interiore che resta “bambino.
Questo, se ci pensi, fa crollare anche il sistema della giustizia, perché tutto si riduce alla soggettività di un solo personaggio, il vulnerabile, appunto. Questo, in una società che poi, in contemporanea, spinge gli individui a livelli di competizione decisamente eccessivi…
A cascata, negli anni si susseguiranno la cancel culture, la costante vittimizzazione di ogni persona che si senta ferita da qualcosa, l’autocensura di tanti, troppi pensieri, fino alla costante attenzione alle parole, con un’autocensura che forse, soffocando le parole insieme ai pensieri, impedisce anche una creatività spontanea. Tante, troppe opinioni vengono spinte sotto il tappeto, nella paura di finire nel sistema stritolante della giustizia “pro” – a prescindere – di chi si dichiara vittima, offesa, ferita da qualcosa.
Attenzione, non so dicendo che non sia giusto occuparsi delle vittime! Ma occorre distinguere tra vittime reali e vittime di un sistema di pensiero che, magnificando determinate qualità psichiche, ha finito per contribuire a deformarle mostruosamente.
La porosità della sensibilità emotiva
Perché alla fine, la persona così sensibile è porosa a qualsiasi frase, a qualsiasi osservazione: quindi alza, magari anche inconsciamente, il livello della sua “vulnerabilità” perché ormai “sa” che tanto la società le darà ragione. L’attore nero deve essere doppiato da un doppiatore altrettanto nero! In ogni film occorre dosare con precisione da farmacista le quote di gay, lesbiche, persone di colore, fino a creare situazioni assurde come l’africano tra i vichinghi o la regina inglese del ‘700 versione afro.
Pensiamo forse che il famoso “bambino interiore” stia meglio, in queste condizioni? Sbagliamo. Proprio perché è un mondo “davvero” sensibile e delicato, quando viene così sbattuto davanti al mondo, in prima linea, sarà sempre più terrorizzato e alzerà le sue richieste… altroché “fiorire”!
In realtà, in questo modo di agire stiamo consegnando le nostre fragilità agli altri, al mondo. Ecco perché, poi, abbiamo bisogno di creare, là fuori, un mondo dove non vi siano persone che possono ferire, anche se magari involontariamente. Il bambino è lì, senza pelle, senza protezione interiore, senza capacità di poter ridere e divertirsi e sentirsi al sicuro… occorre dunque trasformare il mondo fuori, che sia come un cuscino senza alcuna asperità, un piumino rosa soffice come un perenne utero.
Il progetto è, ovviamente, impossibile e anche un poco maniacale. Ci sarà sempre qualcuno che, magari con intenti semplicemente di confronto, ci dirà qualcosa che non ci piace.
Per finire…
Siamo noi, soltanto noi, che possiamo costruire attorno al nostro mondo bambino (ormai terrorizzato, fuori controllo, prepotente e vendicativo) una sana protezione, fatta di un sano spirito critico, una sana autostima, un sano senso dell’humour, insieme all’altrettanto sana percezione che non siamo il centro del mondo.
Gli altri infatti ci possono ferire solo se noi lo permettiamo. Se siamo liberi dentro, le frasi degli altri NON feriscono: non sto dicendo che non si possa avere un sussulto di dispiacere, ma saremo in grado di “prendere in braccio” quel bambino disperato e dirgli, sottovoce, che noi siamo lì, che gli vogliamo bene, che gli prestiamo attenzione e amore. E magari potremo imparare qualcosa anche dalla frase infelice.
Se non siamo vittime, non diventiamo neppure persecutori. E oggi il mondo è pieno di entrambi
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Sull’Ombra del Bambino troverai riflessioni più approfondite in https://www.innerteam.it/libri/il-caleidoscopio-interiore/
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