Creare una visione condivisa ha dei presupposti di base….
Innanzitutto, se le persone che lavorano in azienda non hanno una chiara idea del proprio lavoro, non si sentono sostenute con il materiale, gli strumenti, le tecnologie per poterlo eseguire al meglio, se non vengono riconosciute per il lavoro ben fatto, se non sentono di dare un contributo all’interno dell’organizzazione, difficilmente si entusiasmeranno all’idea di partecipare alla costruzione di visioni e obiettivi con le loro idee o anche soltanto il loro entusiasmo.
Inoltre, se è vero che è la scoperta di noi stessi la vera forza che ci spinge come esseri umani, che è qualcosa che emerge dalla persona e non può essere indotta o imposta dall’alto, che si nutre del bisogno di conoscere, crescere e migliorare noi stessi, è anche vero che un’azienda che voglia essere Leader deve saper coinvolgere tutti i suoi dipendenti. Come dicono Buckingam e Coffman[1]: “L’azienda ricerca valore; la persona ricerca identità. Dovunque nel mondo le persone chiedono di più al proprio lavoro: con la scomparsa di altre comunità, il posto di lavoro è sempre più qualcosa che fornisce senso e identità”.
Le due citazioni che seguono fanno immediatamente capire in quale delle due organizzazioni è possibile portare avanti in modo eccellente il lavoro sulla Visione e sugli Obiettivi.
“Nel nostro gruppo finisce sempre allo stesso modo: chi si rende disponibile lavora anche per gli altri, chi si nasconde non fa nulla: logico che a un certo punto tutti tendano a nascondersi”
“Quando si smette di dire “il mio” , “il tuo”, allora c’è il gruppo: di tutto, anche del tempo per fare l’esempio più scottante, si dice “il nostro”, “il nostro tempo”[2].
La cultura crea degli atteggiamenti negli individui. Una ricerca recente ad Harvard[3] ha confrontato la perdita di memoria degli anziani nelle diverse società. Negli USA vige una cultura che teme la vecchiaia e dove “si sa” che invecchiando i nostri poteri declinano. Bene: gli anziani Americani hanno mostrato una considerevole perdita di memoria. La società Cinese ha invece una grande stima per le persone anziane… e queste hanno mostrato una perdita di memoria molto ridotta. Ogni cultura produce anziani corrispondenti all’atteggiamento nei confronti dell’invecchiamento che predomina nel suo interno. Quello che vale per la società nel suo insieme vale anche per il micro-mondo aziendale. L’atteggiamento è fondamentale. Può avere effetti straordinari sulla disponibilità relazionale e professionale, sulla salute e sul rendimento: ma spesso le aziende non valutano quanto possano contribuire al profitto i gesti quotidiani dei singoli dipendenti, gesti che diventano tanto più responsabili quanto più le persone si sentono parte dell’azienda: dal trattare il prezzo con più determinazione al non usare il telefono per le comunicazioni personali, dal resistere alla tentazione delle troppe pause-caffé all’utilizzo scrupoloso dei materiali e macchinari affidati, dal non perdersi a navigare in Internet allo spegnere le luci…
E’ quindi inutile che un’organizzazione o un’azienda si lanci in progetti di coinvolgimento dei collaboratori se nel fondo custodisce una cultura che vede le persone come oggetti facilmente rimpiazzabili, come “costi” aziendali a cui chiedere in modo pressante e impersonale di produrre sempre di più e magari con meno risorse; se non ritiene che i risultati che ottiene siano merito delle “sue” persone e non è disposta a investire su di esse. La mancata valorizzazione del potenziale umano appartiene, di fatto, all’era industriale, con le sue regole di specializzazione, di produzione in scala, di catena di montaggio, dei famosi “tempi e metodi”. Oggi ci stiamo spostando con forte accelerazione nell’era della “information technology” e del “knowledge work”, anche grazie all’avvento delle relative tecnologie, e tuttavia le organizzazioni stentano a stare al passo con il cambiamento.
Henry Ford: Sia che pensi che si può come che non si può, in qualche modo hai ragione.
Noi scriviamo perché crediamo che questa dolorosa realtà, sperimentata da tante persone e tante famiglie, sia trasformabile. E’ inevitabile. E infatti le aziende, i leader, le organizzazioni che sono consapevoli di quello che sta accadendo stanno investendo in maniera continuativa in istruzione e formazione, stanno letteralmente creando la nuova struttura mentale che può adattarsi alle nuove sfide di questa epoca. In un certo senso, la rapidità di questa evoluzione sta creando la percezione della nostra ignoranza – e questo è il primo sintomo di saggezza! Infatti ci può rendere più umili, più sinceri, più consapevoli che abbiamo bisogno di interconnetterci in modi nuovi, complementari, impegnati. E anche coraggiosi.
Conoscenza e visione: poli complementari
Parlare di conoscenza è come richiamare il passato, così come la visione ci porta al futuro. Una è l’àncora, l’altra ciò che ci spinge in avanti. Ma entrambe sono necessarie: senza la conoscenza non disporremmo della materia prima per costruire la visione e, senza questa, la conoscenza si trasformerebbe in un mero accumulo di dati. E’ altresì importante essere consapevoli che molto di ciò che abbiamo accumulato come conoscenza è mischiato con un cumulo di pregiudizi che in certo modo la sterilizza. Ecco perché sorge la necessità, a cui abbiamo accennato precedentemente, di disimparare certi concetti per riapprenderli da un punto di vista diverso; ed ecco perché Albert Einstein ha detto: “L’immaginazione è più importante della conoscenza”.
Quando si costruisce una visione si parte dalla base della conoscenza di ciascuno, per proiettarsi con la mente, l’immaginazione e il cuore in qualcosa che non esiste ancora. Per questo motivo, se concepiamo una visione sempre più ampia ed espansa questo processo si trasformerà in qualcosa di aperto, un centro che ci spinge a crescere e avanzare permanentemente. Le persone che hanno esperienza nell’arte della visualizzazione creativa riconoscono il valore di quest’attività, quando è sostenuta dai valori fondamentali della persona. Si diventa come un artista, che vede nella tela bianca la sua opera già dipinta… Questa potenza è la stessa che ci porta al successo perché sappiamo dove stiamo andando.
Questo percorso è valido a livello individuale – e lo abbiamo esplorato in precedenza – e può diventare l’elemento trainante di un’azienda che sappia raggiungere e portare avanti una visione condivisa e i relativi obiettivi, a cascata. Qui la parola “condivisa” è fondamentale: se infatti le persone ricevono la proposta aziendale attraverso un annuncio più o meno impersonale, o peggio ancora viene “spacciata” per “nostra”, senza che vi sia stato alcun reale coinvolgimento emotivo, non ci sarà condivisione. Insomma, citando Covey[4]: “Le dichiarazioni di missione legittimanti vengono prodotte quando ci sono: 1) abbastanza persone; 2) ben preparate; 3) che interagiscono liberamente e sinergicamente; 4) in un clima di totale fiducia.”
Immaginiamo quindi che ogni membro del gruppo si inserisca nel momento di sognare la meta insieme e cooperi con la sua intuizione, contribuisca con le sue proposte – senza censurarsi per quanto alcune possano sembrare assurde – e si senta libero di esprimere anche i propri dubbi. Questi sono momenti fondamentali per il futuro successo: aprirsi alla possibilità di ripensare tutto da zero, senza condizionamenti, e permettersi di esplorare il territorio senza pregiudizi, questa è la miglior via per costruire una visione genuina. Da una visione condivisa scaturirà un piano strategico coerente, allineato e condiviso. Siamo già a buon punto!
“La cartina al tornasole di una buona missione e di un buon piano strategico è di essere in grado di avvicinarsi a tutte le persone a tutti i livelli dell’organizzazione e renderle in grado di descrivere come ciò che fanno contribuisce al piano strategico ed è in sintonia con i valori che lo governano[5]”.
Di fronte alla credenza popolare che “è necessario vedere per credere”, Lair Ribeiro sostiene che ciò che succede è piuttosto il contrario, è necessario credere per vedere. “Se per credere aspettiamo di vedere, arriveremo sempre tardi, dopo coloro che prima credono e credendo riescono a vedere[6]”. Inoltre, credere con perseveranza è l’unica forza che ci permette di seguire la rotta lungo il percorso.
“Dunque, in effetti, quando si vuole focalizzare l’intento, si deve essere una mente indivisa.” (William Tiller)
(…)
(Questo articolo è un estratto dal Cap. IX del libro PLUS, di Nora Fusillo con Franca Errani, Edizioni Sì 2009)
[1] M. Buckingam e C. Coffman, Primo, rompere le regole, Baldini e Castoldi 2001.
[2] Cit. In G.P. Quaglino, C.G. Cortese, Gioco di Squadra, Raffaello Cortina Ed. 2003
[3] Cit. In Ma che BIP sappiamo veramente, op. Cit.
[4] Stephen R. Covey, L’ottava regola. Franco Angeli/Trend 2005
[5] Stephen R. Covey, op. cit.
[6] Lair Ribeiro, Il successo non arriva per caso, Italianova 2006
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